Soul Jazz Records ha da poco lanciato un libro fotografico che ripercorre gli anni d'oro del Voguing. Cos'è il voguing? Forse i più wow di voi l'hanno ballato (e non lo sanno). Forse l'avete visto in qualche film dimenticato a cavallo tra l'underground e il glamour. Il voguing è l'apologia del divismo sulla pista da ballo, una danza dai movimenti studiati esplosa nella scena dance ad Harlem, New Yorknel 1980,quando i ballerini gareggiavanol'uno contro l'altro per sfoggiare le loro abilità nelballo, nel travestimento e nellacapacità di sfilare in pistacomeuna modella sulla passerella. Ancora non vi dice niente? Forse può illuminarvi le idee Madonna, che ha reso celebre il Voguing nel 1990, quando il suo singolo ("Vogue", appunto) arrivò in vetta alle classifiche di oltre 30 Paesi. Willi Ninja, Jose e Luis Xtravaganza lavorarono con Madonna, così come le leggendarie "madrine" del mondo gay transgender - Avis Pendavis, Peppa LaBeija, Carmen Xtravaganza, Dorian Corey,
Paris Dupree.
Sempre nel 1990 il film di JennieLivingstoneParisis Burning ne ha documentatola scenacon un successo travolgente, incassandooltre $4.000.000.Quando il voguing divenne mainstream le ballroom di Harlemsi mischiarono al fashionismo di Manhattan.
Questi anniselvaggidellavoguingedella scena dancefloor sonovividamentecatturatial loro apicein centinaia distupefacenti fotografie inedite. In un tripudiovisivo dimoda, sesso, polysexualitye stilesovversivo, Voguing and the House Ballroom Scene of New York City 1989-92è anche undocumento affascinantesulla sessualitàe sulla razza.
Gli scatti sono opera di Chantal Regnault, fotografa di origine francese che visse appieno il mondo del voguing alla fine degli anni '80.
In parallelo all'uscita del libro, Soul Jazz Records rilascerà a Gennaio 2012 anche 2CD/LP con la partecipazione di Masters at Work, MFSB, Junior Vasquez, Diana Ross, Armand Van Helden, Loose Joints, First Choice e tanti altri.
Soul Jazz Records
Voguing: Voguing and the House Ballroom Scene of New York City 1989-92
Ha stile per come porta i capelli, per come sorride e perché nei live c'è sempre il suo amico Buddy Sativa che suona il Microkorg come fosse un Juno.
Chinoiseries pt 2, dato che l'ha suonato Onra, c'ha stile pure lui.
La storia è bellissima, il sogno di tutti i beatmaker del globo, andare in giro per i peggiori negozi di dischi della Cina a pescare rarità e suoni che da noi non arriveranno mai!
Rispetto alla prima parte autoprodotta nel 2007, che poi non doveva essere parte di niente ma un LP chiuso e basta, questa seconda parte esce su All City Records.
Significa che c'ha la versione in doppio LP, la versione in cassetta, la versione mp3 e la versione FLAC. C'ha pure il merchandise da bancarella come per i fan di Vasco.
Rispetto al primo è un po' monotono. Ma è davvero l'unico piccolo difetto che viene fuori dopo un ascolto molto attento a capire tutto il far est che Onra ha ascoltato per selezionare quei campioni rispetto ad altri milioni.
In questa seconda parte ci stanno gli strumenti tradizionali, che li senti e non sai mai come li potresti usare, ci stanno i dialoghi dei film che chissà da quale film vengono e vai a capire cosa si stanno dicendo e perché è sempre tutto così drammatico, ci sta la hit Fight or Die che è anche la soundtrack del video teaser e che io me la sento mille volte al giorno perché c'ha un attacco spettacolare.
Sono 32 pezzi che sembrano tutti dei classici e parte di una storia comune, tutti con quella pompa che non capisci come si fa a far uscire roba così da una MPC 1000.
Secondo me lui ce l'ha pimpata!
Progetto ricco per uno dei pochi artisti che possono vantare
a pieno titolo il ruolo di eredi dei vari Tangerine Dream, Klaus Schulze, Neu o Moebius. Come per questi
luminari della musica elettronica la visione "open mind" di Trentemøllerfa la differenza
sia quando crea la traccia, sia quando la remixa, percorrendo spesso strade
diverse e non appoggiandosi a
canoni precostituiti - come spesso accade a molti sopravvalutati new comer della
scena elettronica europea.
Ventidue tracce sono davvero tante per essere descritte tutte in un
respiro: si tratta comunque di remixes del "nostro", più alcune tracce remixate da
ospiti...strepitosi. Parliamo di nomi del calibro di Andrew Weatherall su Silver Surfer, Ghost Rider che fa rivisitazioni in chiave dark anni '80, Unkle che ribalta in
chiave indie "Neverglade", brano presente anche nella bellissima versione
strumentale originale e nel rmx dello stesso Trentemøller. Citiamo anche Kollectiv
Turmstrasse con il remix di "Even though you’re with another girl", uno dei miei favoriti nei
djset di quest'anno. Ma le belle scoperte non finiscono qui: c'è il rmx di Too Insistent/ Dw down tempo
struggente e malinconico, "No you girl" dei Franz Ferdinand rivisto in chiave funk
elettronica con il vocal opportunamente usato per esteso, "White Flash" di
Modeselektor - dove Trentemøller tira fuori il meglio dal suo repertorio di
manipolatore dei suoni, "Me Me Me" di Lars and the Hands of Light - dai sapori
sixties, chitarre a nastro, atmosfera glamour. Non poteva mancare "Wrong" dei
Depeche Mode con il rmx di Trent assolutamente fantastico con un vortice di
suoni deliranti, di gran lunga il migliore re-work di questo brano remixato da
una valanga di...caproni.
Alla fine Reworked / Remixed è indubbiamente un package di alto spessore, ma manca
all’appello qualche altra perla che ci aspettavamo…che arrivi prima o poi anche un volume Due?
Lo speriamo.
posted by Bruno Bolla
Trentemøller - Reworked / Remixed In My Room Records Novembre 2011
Non conoscevo i Renaissance Man e quando mi è arrivato l'album la prima cosa che ho pensato è stata la cricca progressive Renaissance di Dave Seaman e soci. Sono bastati venti secondi per capire che ero fuori strada, ed ho passato una settimana ad ascoltare questo album. Pare che due architetti tra una riga e l'altra (da disegno), abbiamo deciso tre anni fa di dare vita ad un progetto musicale innovativo, "rinascimentale". E ci sono riusciti. Il loro album "Renaissance Man Project", uscito ad Halloween su Turbo Recordings (ah ecco) ha dentro di tutto. Dodici tracce che spaziano dalla electro ("What Do You Do When You Do What You Do"), all'ambient/elettronica/glitch ("Nonsense", Damon Nabru"), al rumore nudo e crudo (Urban Nomad) fino chiaramente alla techno/electro di "Stalker Humanoid" e la bomba "SOS". Un album difficile, non per tutti i palati, indicato solo a chi piace "osare" e da cui si possono trarre spunti interessanti per chi vuole cimentarsi in remix, con una buona dose di creatività. La traccia finale "Knocking Doors" è venti minuti di silenzio: gli amici rinascimentali o hanno lasciato il recorder accesso oppure qualche "riga" in effetti c'è scappata veramente...
Prima puntata di WE GOT HANDS stories, la rubrica di Discosafari che ti racconta di gente che fluttua su un mare di vinili e atterra violenta dentro ritmiche spezzate e contorte: qui parliamo di Dj e producer da tutto il mondo.
WGHS stories parla di quelli che ti fanno muovere la testa e il culo, ti fanno pensare di rimbalzare dentro una palla di suono e ti entrano nello stomaco dal basso col kick della 808. Sono quelli del crate digging, che cercano il sample e se lo suonano come se l'avessero scritto loro. A WGHS stories si parla di macchine, campionatori, vinili, laptop e live set che ti pettinano.
WGHS stories è la parte acculturata e raffinata della serata We Got Hands, dove non si parla, non si scrive, ma si suona con le mani, con la testa, senza sosta.
Quest'anno ci si sposta al Toilet (Milano), un mercoledì al mese, ogni volta ospiti diversi, selezionati con cura, producer e dj da qualsiasi luogo.
Inauguriamo oggi con uno showcase di un'etichetta belga che ha stretto amicizia con l'italo-berlinese Error Broadcast: Vlek Records.
Ci porta due bombe atomiche del suo roster pauroso, Cupp Cave e Squeaky Lobster, entrambe live set. Squeaky lo potete assaggiare nel suo esclusivo mixie per PTW School .
Vlek produce vinili, produce cassette, fa le copertine a mano in serigrafia in serie limitatissima, esce con un disco ed è tutto sold out nel giro di una giornata.
A WGHS si inizia con i beat morbidi e dance del resident Fitness Bitch, si chiude con dj guest, che per l'inaugurazione sarà Pigro on Sofa: Dj Bergamasco appuntito come una scheggia di vetro impazzito, spazia dal break beat all'hip hop muovendosi tra cdj e vinili come se fossero strumenti a percussione.
Poi sapete perché il Toilet si chiama così? Io non ci credevo appena arrivato a Milano. Ci si becca la!
Felabration è un memorial celebrato in tutto il mondo dedicato al grande
musicista nigeriano Fela Anikulapo Kuti (1938-1997). Quest'anno, per la
prima volta, è stato celebrato anche in Italia con concerti, dj set, mostre
e letture dedicate a Bologna (14 ottobre), Torino (28 ottobre), Milano
(29 ottobre) e a Roma (31 ottobre).
Il Concept Store Serendeepity, in collaborazione con FunkInMilano, ha dedicato il pomeriggio di Sabato 29 Ottobre alla passione per la musica Afrobeat, ma anche afro-funk, afro-rock, boogie, disco, afro-latin: un momento di approfondimento e riscoperta in cui gli spazi del negozio sono stati allestiti in onore di Fela e i visitatori si sono lasciati andare al ritmo dei vinili e alle .... birrette offerte per
l'occasione.
Djset by: \\ Matteo FunkInMilano \\
Matteo, con il collettivo FunkInMilano, è attivo nella scena funk
milanese da circa 15 anni. Dj e appassionato di funk, disco, afro,
latin, e musica nera in generale, ha collezionato dischi da almeno
quattro continenti; ha iniziato ad interessarsi alla musica africana e
afro-colombiana da diversi anni. Attualmente è resident della serata
Funkish! presso lo Zoom Bar, e delle serate Funky Dip presso l'Arci
Biko (presso il quale si terrà il party notturno del Felabration). Ha
suonato regolarmente in Circoli Arci quali Magnolia e Ortosonico, e in
svariati club, spazi e one night a Milano, Roma e Bologna e anche
all'estero, come nel prestigioso Danny's di Chicago, vero e proprio
punto di riferimento della scena funk e disco della città.
\\ NdujaBitz \\
Orlando Cacciola aka NdujaBitz è un collezionista di vinili ed esperto
di funk, soul, afrobeat, latin. Da anni suona i dischi in vari club
nazionali e internazionali; organizzatore di concerti ed eventi tra cui
Shaolin Temple Defender, Kokolo, Funkallisto, Felabration Italia,
SuperAfroSoul, è anche dj e speaker radiofonico e conduce Black Mama
Radio Show, in onda sul circuito di Radio Popolare prima e ora su Radio Città Del Capo. Ha intervistato artisti come Ebo
Taylor, Seun Kuti, Ray Lugo e dirige il sito musicale FunkU.it.
Musicista, percussionista specializzato in musica pop e afrocubana si
diletta anche con la computer music creando sonorizzazioni per il teatro
e la danza, tra gli altri ha suonato e registrato per Geoff Westley,
Arnaldo Vacca, Javier Girotto, Max Luna III.
Ho scoperto Florence + The Machine compiendo il mio rituale rastrellamento di musica dalla mia amica Laura. Mi regala l’album dicendomi “questo ti piacerà di sicuro, non lo mollerai più”. E così è stato. Quel cd è stato ascoltato, consumato, vissuto, strapazzato, diventando il mio “buongiornomondo” per più di un anno e la colonna sonora di mille situazioni.
Florence and the Machine, nasce dall’unione della voce di Florence Welch e un gruppo di artisti che collaborano con lei al fine di creare musica su misura per la sua voce.
Florence Leontine Mary Welch nasce a Londra il 28 agosto 1986. La madre, scrittrice e assidua frequentatrice dello Studio 54, il padre un noto pubblicitario, il nonno vice-direttore del Daily Telegraph. A scuola era il “personaggio strano” che leggeva Poe e Jack The Ripper, ascoltava i Velvet Underground e faceva disegni gotici. Ma oggi è felice e ammette: “è davvero il mio lavoro ideale” dice “amo cantare, amo ballare, amo suonare la batteria. Il fatto che qualcuno mi paghi per farlo è davvero incredibile”. Si avvicina alla musica all’età di 13 anni ascoltando band come Hole, Nirvana, Green Day, Kate Bush, Annie Lennox e The Velvet Underground. Nel 2006, dopo aver cantato con i Toxic Cockroaches e gli Ashok, decide di scrivere i propri pezzi e creare una band tutta sua collaborando con Robert Ackroyd alla chitarra, Christopher Lloyd Hayden alla batteria, Isabella Summers alla tastiera, Mark Saunders al basso e Tom Monger all’arpa.
Il gruppo comincia a farsi notare nei piccoli locali di Londra con il nome Florence Robot is a Machine fino a che Mairead Nash, una delle componenti del duo Queens of Noize, decide di far da manager al gruppo.
Frutto di questa collaborazione è l’album di esordio, “Lungs”, datato 2009 (cui seguono versioni acustiche di alcuni brani, peraltro fantastiche, e qualche nuova traccia come “Heavy in your Arms” scelta come colonna sonora per uno degli episodi della saga di Twilight), pregno di immagini gotiche e voli di fantasia, è fatto di arpe, cori, percussioni, quartetti d’archi, sottili influenze elettroniche, fra i silenzi, parla d’amore, di morte, di sangue, luna, vetri rotti, sentieri, stelle, caffè, acqua ...
Nel luglio 2010 sono fra gli artisti ospiti del Milano Jazz’n Festival, sul palco insieme a Paolo Nutini. Inutile dire che ne rimango ancora maggiormente affascinata. La chioma rossa di Florence, vestita di bianco, tiene il palco muovendosi come una fattucchiera, con quella voce naturalmente potente e infinita.
Per fortuna, il 31 ottobre la (mia) trepidante attesa è finita. Dopo due anni di silenzio, o quasi, Florence + The Machine ritorna con un nuovo album, “Ceremonials”. Le dichiarazioni rilasciate prima della pubblicazione del nuovo disco, lasciavano già presagire l’atmosfera mistica del lavoro
“il secondo disco sarà molto più dark del precedente, si parlerà di aldilà, di presenze, di cari defunti che ritornano in sogno e fantasmi. Mi trovo in un momento in cui sono piena di metamorfosi, è come se volessi conoscere meglio la parte oscura”
Florence Welsh, in un’intervista ha confessato che il primo singolo estratto dal nuovo album, “Shake it Out”, è stato scritto in un momento di post-sbornia, momenti nei quali lei stessa ammette
“You’re lucid, but you’re not really there. You’re floating through your own thougts, and you can pick out what you need. I like those weird connections in the universe. I feel that life’s like a consistent acid trip, those times when things keep coming back”.
Quando ho scartato il nuovo album ero eccitata come una bambina al parco giochi in attesa di addentare la nuvola rosa di zucchero filato. Poi, finalmente, le cuffie del mio iPod hanno iniziato a trasmettere la prima traccia, poi la seconda, dritte fino alla dodicesima. Partito un brano acceleravo la riproduzione, memorizzavo le note ricorrenti, acciuffavo qualche parola, poi saltavo alla traccia successiva...
Unica eccezione per “What the water gave me”, ascoltata a ripetizione in anteprima su Youtube. Le prime note sono già, per me, pura energia, mi solleticano i nervi. Il video è una liberazione, un collage dei momenti della registrazione, un’esaltazione di quella voce che, quando inizi a percepirne le vibrazioni, non puoi far altro che muovere le tue labbra per catturarne l’energia.
“I want my music to sound like throwing yourself out of a tree, or raff a tall building, or as if you’re being sucked down into the ocean and you can’t breathe. It’s something overwhelming and all-encopassing that fills you up, and you’re either going to esplode with it, or you’re just going to disappear”
Sì, questo è esattamente quello che si prova! Torna presto a trovarci a Milano.
P.S. se vi piace Florence, come piace a me, andate da Serendeepity e chiedete di “Austra” e “Barbara”, non ve ne pentirete!
Il New York Times lo ha definito l'artista più promettente per la musica brasiliana. Lucas Santtana con l'album "Sem Nostalgia" su Mais Um Discos racchiude le sue ricerche di suoni in un album caldo e magico: Lucas è di Bahia e del suo mondo fan parte Brazilian Beats, Samba, Dub e Reggae, Rock e Funk, Jamaican Style e Noise Guitar. La sua voce affascina per intensità e calore, ritmi ondeggianti accarezzano le nostalgiche frasi di chitarra classica maneggiata con cura da esperti
falangi.
Un tributo allo spirito della Bossa Nova come movimento di cui grandi artisti hanno fatte parte, i massimi esponenti di una cultura dove voce, chitarra e grandi performance live sono le coordinate di una tradizione: le prime due senza dubbio si trovano in questo album, per la aver conferma della terza non resta che attendere che Lucas Santtana si esibisca da queste parti.
I finlandesi quando fanno elettronica spaccano.
Sarà perche sono costretti a stare tappati in casa per il freddo, sperimentando nuovi suoni, ma ciò che è certo è che alcuni dei più interessanti lavori di ieri e di oggi, arrivano proprio da lì: Jimi Tenor, Jori Hulkonnen e Sasu Ripatti per citare qualche nome. Il nuovo album di Sasu Ripatti aka Luomo, arrivato con le prime sberle gelide dell' inverno che avanza, non tradisce le aspettative. Il biondino finlandese colpisce ancora: Plus, il quinto album, è un ottimo lavoro. Abbiamo adorato Sasu nelle sue escursioni dub ambient sotto lo pseudonimo di Vladislav Delay; ci ha fatto ballare techno e minimal con i lavori dietro l'alter ego Uusitalo; e ci ha regalato perle di vocal deep house con i lavori passati a nome Luomo (Vocalcity del 2000 su tutti). Ci ha poi stregato svelandoci la sua abilità di batterista (da piccolo suonava in una jazz band) nel Moritz Von Oswald Trio. Plus, su etichetta Mood Music, sembra racchiudere tutte le anime di Sasu in un mix molto ballabile di tracce che girano fra Chicago house, elettronica e breaks ipnotici. "Form in void" e "Twist" le tracce più interessanti e, appunto, glaciali; "How you look" riprende i vocals tanto amati dal nostro finlandesino.
Voto: 8/10, e.. benvenuto Inverno.
Qualche giorno fa ho acquistato un peluche a forma di orso da regalare alla figlia di una amica. Sorprendentemente non riuscivo più a liberarmene. Mi ci sono affezionata a tal punto da giocarci continuamente, lo portavo con me ovunque e ovviamente lo abbracciavo durante il sonno. È stato come tornare per un paio di giorni bambina, immersa nell’immaginario infantile delle avventure di un orso. Non so cosa mi spingesse a ricreare in farsetto la sua voce, a travestirlo o a scimmiottarlo come fosse un essere davvero vivente, ma ne ero rapita. Adoravo quel suo non voler imitare un orso. Non era il solito Teddy Bear, ma assomigliava verosimilmente al musetto dell’animale cucciolo. Ed era in vendita in un negozio di arredamento, luogo frequentato per lo più da bambini cresciuti. Separarmene è stato a suo modo doloroso e mi ha costretto a riflettere sulla vicenda.
In che modo un’idea, se considerata in un contesto diverso, riesce ad adattarsi ad un pubblico diverso facendo leva sugli stessi sentimenti?
Lo sa molto bene Bjork, la pioniera dell’avanguardia musicale, come funziona in questi casi. Con il lancio del suo ultimo progetto musicale Biophilia, un complesso scrigno di applicazioni multimediali, videogames interattivi, e solo alla fine brani musicali, ancora una volta il folletto del nord stupisce tutti. Amanti dell’Ipad e non.
Non solo presenta un album parzialmente registrato attraverso un tablet ma regala a tutti i suoi fan un nuovo tipo di esperienza musicale. Musica da ascoltare, ma soprattutto da vedere, e da giocare. Ogni canzone del nuovo album è infatti proposta attraverso un'app che contiene un videogioco del brano, la possibilità di ascoltare la canzone seguendo lo spartito integrale che scorre su un pentagramma, la versione strumentale e, ciliegina, un'analisi critica del testo.
Anticipa e offre alla creatività dei suoi ascoltatori molto più di dieci brani musicali. In qualche modo cerca di intrappolare l’attenzione del suo pubblico in un sistema ipertestuale che non concede distrazioni, quindi se prima ascoltavi Bjork sotto la doccia, ora l’app di Biophilia/Cristalline ti inchioda all’Ipad per più di mezz’ora.
La riuscita di un progetto musicale, da Bjork in poi, non si misurerà più in composizione, sperimentazione, innovazione, complessità, intensità, e timbro. La qualità di un album è ormai legata alla potenzialità di rimaneggiamento delle tracce, alla possibilità di rielaborazione dei remix, all’applicabilità dei files musicali in altri contesti, all’offerta multimediale che propone. Un album non è più un mero contenitore di musica, ma diviene un contenitore di contenuti, di apps, tarato sul numero di esperienze di realtà differenti che riesce ad offrire.
Bjork in questo modo non stupisce più solo gli intenditori di musica, ma anche gli appassionati di visuals, i creativi, gli amanti dei videogiochi, i devoti alla grafica vettoriale, i compositori, i videomakers, i tablet users, il social marketing, l’industria dell’intrattenimento e il business discografico, ridefinendo il concetto stesso di ascolto.
Bjork prende un orso, lo rende interessante per un pubblico diverso e lo mette a disposizione in un contesto che sappia esaltare le sue nuove qualità. Chi vede quell’orso prova la stessa sensazione di quando ha sentito Bjork per la prima volta: Amore. E non può più farne a meno.
Un album techno essenziale e crudo con atmosfere da “Escape
from New York” addolcite da un uso frequente di archi, come nel caso della track
2E2L che cresce lentamente avvolta da synth ossessivi. Una certo sapore Old
School traspare nei suoni di Kleine Schwarze Katze: un viaggio acido con un
bassline vigoroso, mentre Bring It ricorda alcuni momenti delle produzioni di Dj Duke, specialmente su King Street. In un disco essenzialmente strumentale
spicca Riding on The Rhythm che ha un vocal interessante, una sorta di “Spoken
Ragga” con degli organini dal
suono mantrico su una ritmica - che forse poteva essere un po’ più curata. Su
Chouchou troneggia un sample di chitarra (Baden Powell?) su cui si articolano
fiati che mi hanno ricordato gli audaci esperimenti sonori di Jon Hassell. E’
questo forse il tocco dove si riesce ad intravedere un pizzico di genialità
per un disco che vive tra luci ed ombre sia a livello creativo che di
produzione, ma che regala sicuramente qualcosa al dancefloor.
Mi sono sempre fidato di Gilles Peterson e delle sue selezioni e proposte musicali. Quindi quando Gilles incluse alcuni pezzi di James Blake nel suo show su BBC Radio 1, pur storcendo il naso di fronte ad un ragazzetto inglese che cantava una nenia, ho seguito i consigli del maestro. James Blake è un bravo pianista e compositore e la sua musica è sperimentazione, a mio avviso più pop che elettronica, anche se etichette culto nel panorama elettronico hanno creduto in lui (vedi il 12” “CMYK”, uscito su R&S records l'anno scorso). Qualcuno dice che la sua musica è cupa, triste e in effetti ascoltando le tracce del EP "Enough Thunder" non si può far altro che aprire una bottiglia di scotch invecchiato, accendere una sigaretta e rispolverare quel libro che avevi giurato anni fa di finire. Nelle sei tracce che compongono l'EP si sentono echi, piani filtrati, suoni striduli di chitarre punzecchiate e modulate, accompagnate dalla voce di James che suona come un mantra. "We might feel unsound" è l'apice, oltre che dal titolo, di questa sperimentazione pop e chiude con suoni che sembrano uscire dai Matmos, cosi come in "Not Long Now", mentre in "Fall Creek Boys Choir", con Bon Iver, si gioca con voci sfumate dal vocoder e un downbeat lentissimo di sottofondo. "Enough Thunder", la title track, è pura voce e piano e richiama all'anima da compositore/cantautore di Blake. Un paio di ascolti di "Enough Thunder", ed ecco il verdetto finale: cinque sigarette, bottiglia quasi alla metà, lacrimuccia sul viso e, finalmente, libro finito.
E finalmente ci siamo, il primo grande atteso album di Rebolledo (uscito su Cómeme) è finalmente arrivato nelle nostre borse.
L'attesa è stata lunga, ne parlavamo con lui fin dal luglio scorso, quando Mauricio era sbarcato con il suo gran sorriso all'aeroporto di Malpensa, qui per una super gig in quel di Milano.
Mauricio ci ha stupito fin da subito per la sua freschezza, per la sua energia positiva di chi vive la musica come un sogno, come una favola a 10 cm da terra: Mauricio non fuma (davvero!), Mauricio non si droga, Mauricio non dice parolacce, ma Mauricio suona da paura davanti a 400 persone presenti sul tetto dell'Ippodromo del Galoppo - forse spinto da quel cucchiaio di olio piccante che noi scettici gli avevamo fatto assaggiare durante la cena dal nostro amato amico pugliese, per testare che fosse davvero un campione di gare al peperoncino, così come raccontava.
Ritmi e batterie di grezza manifattura anni '80 rotolano sotto i synth primitivi che accompagnano l'ascolto dell'intero album; le tracce sono sporche, ipnotiche e fatte per essere suonate, looppate, mixate, equalizzate una dietro l'altra, in un crescendo di beat che farà gridare tutti i dancefloor del pianeta. Da sottolineare le varie collaborazioni dei compagni d'etichetta della Comème (da Matias Aguayo a Superpitcher, da Philipp Gorbache a Raquel Wolff) che rendono ogni pezzo di quest'album un "must have" per tutti i djs d'avanguardia.
Mauricio, do you have a cigarette?
Si respira un'aria internazionale ascoltando l'album dei Soupaczar, quartetto proveniente da Parma dalle forte denominazioni Rock e Indie, ma che con questo secondo lavoro si avvicina anche all'Elettronica.
Dopo anni di duro lavoro tra i palcoscenici nostrani e non la Band trova la giusta quadra e sforna un lavoro di tutto rispetto dando spazio alle contaminazioni che arricchiscono di sonorità dal sapore inglese l'intero progetto; in uscita sulla label toscana ForEars i Soupaczar si presentano al grande pubblico con dieci brani cantati in inglese che non faranno certo fatica a farsi apprezzare data la freschezza del loro groove.
Il singolo Own Rocket che ha preceduto l'album è un concentrato di brit pop dalle forte linee '60s ed è diventato un video girato dal regista Rino Stefano Tagliaferro (da poco vincitore del premio Fic International Short Film Festival), già trasmesso sui più importante network nazionali.
Ordinary Quite Contrary, uscito da pochissimi giorni, viene distribuito da Family Affair e non potrà che sbattere in faccia al mondo che anche da queste parti il Rock lo sappiamo fare come Dio comanda.
posted by Kollektiv Smokeless
Soupaczar - Ordinary Quite Contrary ForEars Records Ottobre 2011
Grace Jones non ha bisogno di presentazioni. E la sua arma, oltre alla forte personalità, versatilità e carattere, è ovviamente la voce. Una voce calda ma allo stesso tempo distante, androgina - talvolta robotica, ma capace sempre di trasmettere emozioni che mischiano radici di varia natura. Ascoltare Grace ti porta subito a pensare alla Factory, alla NYC degli anni '80 in piena esplosione della cultura pop, a quel contesto in cui sperimentazione, avanguardia, malinconia e glamour si fondevano insieme. Pioniera di stile, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti, la vocazione di Grace all'innovazione, pur mantenendo saldi i riferimenti di partenza, l'ha resa un'icona.
Grace è nata in Giamaica e la sua passione per il reggae è quindi "naturale" e rappresenta l'altra faccia della sua carriera, più nota forse per i lavori in ambito disco.
Questo nuovo album Hurricane Dub, che rivede in chiave ambient/dub le traccie di Hurricane del 2008 (con le collaborazioni di nomi come Brian Eno e Tricky), è un buon lavoro. Certo non siamo di fronte a qualcosa di incredibilmente innovativo: i suoni sono conosciuti e per chi ha un minimo di conoscenza di dub, trip hop e ambient sarà facile trovare riferimenti molto marcati agli Heroes del genere (Lee' Perry, Mad Professor, King Tubby, Massive Attack e via dicendo). Ma quello che piace è che Grace, quasi vent'anni dopo il suo ultimo album, invece che lasciarsi ammaliare dalle tentazioni di ottenere un facile successo commerciale con hit da radio o discoteche estive (come purtoppo fanno in molti), si ripropone al pubblico puntando sulle sue radici e su un sound di nicchia. L'album scorre in un viaggio fluido e dalla traccia di apertura "This is a Dub" sino alla chiusura "Hell Dub" si rimane avvolti in echos&effects, dubbate e giri di basso che riassumono il meglio del dub/ambient moderno e che richiamano il lavoro di artisti come Alex Patterson. E il tocco della divina Grace si sente e non può che aggiungere classe al lavoro complessivo prodotto da Ivor Guest, collaboratore storico della Jones.
Qualche tempo fa abbiamo conosciuto online - strani incroci del destino - Giulio, giovane artista orginario di Civitanova Marche. Parla parla, scopriamo che in giro per l'Italia anche a lui è capitato di carpire tra un discorso e l'altro il nome Discosafari, e andandosi a informare è diventato lettore di questo blog. Dal canto nostro dopo mezz'ora di conversazione siamo diventati fan del suo stile, che descrive cosi:
“Non mi piace fermarmi in un'unica espressione artistica, la ricerca è alla base del mio lavoro e di ogni creativo che sperimenta continuamente nuovi linguaggi e nuove tecniche, superando cosi l’antico e il continuo ripetersi di forme e colori…”
Che è un po' anche la nostra visione della musica. Visto il doppio colpo di fulmine, gli abbiamo affidato il restyling dell'header del nostro Blog (quell'immagine in alto): dai suoi ultimi studi grafici Giulio ha sfornato una colorata rivisitazione del suo ampio progetto sulle rocce lunari, oggetto anche di mostre ed esposizioni. Cosa c'è di più adatto di questi elementi fluttuanti per noi viaggiatori e sognatori della notte sulle scie di suggestioni musicali?
Grazie Giulio!
Ed ecco qualche informazione su di lui, uno che di certo non se ne sta fermo ad aspettare la gloria. Big up.
Giulio Vesprini vive e lavora a Civitanova Marche dove è nato nel 1980.
Fin da subito dimostra un grande interesse per il disegno e la pittura, cosi inizia a dipingere e sperimenta tramite gli spray i primi graffiti in strada. Deciso a intraprendere un percorso di arte e comunicazione visiva, si iscrive all’Accademia delle belle Arti ed impara ad usare diverse tecniche grafiche, sia incisorie che digitali. In seguito si specializza e nasce una vera e propria passione per la grafica, cosi nel 2005 inizia a lavorare come freelance per diverse agenzie di comunicazione e moda, dove riesce ad affermare il suo stile anche nei lavori pubblicitari. Man mano si avvicina più a grafismi applicati alle geometrie degli spazi; matura nuove conoscenze e si avvicina a discipline come la videoarte e la fotografia. Partecipa con i suoi video a manifestazioni artistiche, proiettandoli in spazi urbani aperti e dal 2007 inizia ad esporre costantemente in gallerie e shop-gallery nazionali ed internazionali mantenendo uno stretto legame con la cultura street. Partecipa a numerose iniziative legate all’arte urbana come il Salone del Mobile di Milano, portando sempre con se la passione per l’illustrazione e la grafica.
Dal 2010 si occupa principalmente d’illustrazione sia digitale che classica e nel frattempo porta avanti progetti paralleli di ricerca come gli studi sul colore, la land art e il segno geometrico, con diverse applicazioni.
Oggi Giulio Vesprini è un riconosciuto esponente della scena grafico-urbana italiana.
E' uscito ormai da una decina di giorni ma non se ne può non parlare: sarà per il tocco inconfondibile di Kieran Hebden, vero nome di Four Tet, sarà per l'alone di reverenza che gira intorno al Fabric, uno dei pochi club al mondo a instaurare un vero rapporto di connessione e scambio con gli artisti che vi suonano, oltre che con il pubblico.
FabricLive 59 è l'ultima tappa in ordine di tempo (QUI la celebra lista di predecessori) delle compilation mixate da ospiti sempre diversi per lo storico club londinese e Four Tet parla così della sua esperienza per questo progetto:
This mix is not about my DJing. It's about London and fabric and nights out and my take on all that. The memories and the influences. I used old and new music, I used recordings of fabric, and I made new tracks of my own for it. I hope people play it fucking loud and lose their minds in it and remember or imagine what it's all about.
Preceduto dal singolo "Locked"(un'intensa preview di quasi nove minuti), non si può certo dire che il mixato di Kieran scorra fluente dall'inizio alla fine in un percorso stabilito: è un set dinamico e spezzato, che richiede attenzione e fa soffermare su diversi spunti stilistici collegati da linee di ponte tra passato e presente. Il suo eclettismo ne è la forza, la sua capacità narrativa è la guida a cui abbandonarsi per comprenderne la completezza.
Tracklist:
1. Intro
2. Michael Redolfi – Immersion Partielle [INA-GRM]
3. Crazy Bald Heads – First Born [On-Tick]
4. Persian – Feel Da Vibe [Same People]
5. KH – 101112 [unreleased]
6. Youngstar (Musical Mob) – Pulse X [Inspired Sounds]
7. Crazy Bald Heads – First Born (Four Tet Remix) [unreleased]
8. Floating Points – Sais (dub) [Eglo]
9. Apple – Mr Bean [Appsolute]
10. Manitoba – Webers [Leaf]
11. Big Bird – Flav (Urban Myths Remix) [Nice n Ripe]
12. Genius – Waiting [Kronik]
13. Four Tet – Fabric [unreleased]
14. David Borden – The Continuing Story of Counterpoint Part Nine [David Borden]
15. STL – Dark Energy [Something]
16. Percussions – Percussions One [unreleased]
17. C++ – Angie’s Fucked [Music For Freaks]
18. Burial – Street Halo [Hyperdub]
19. KMA – Cape Fear [KMA]
20. WK7 – Higher Power [Power House]
21. Ricardo Villalobos – Sieso [Cadenza]
22. Four Tet – Pyramid [Text]
23. Red Rack ‘em – How I Program [Bergerac]
24. Active Minds – Hobson’s Choice (Tune For Da Man Dem) [white]
25. Armando Gallop & Steve Poindexter – Blackholes [Muzique]
26. Outro
27. Four Tet – Locked [Text]
Ps: chissà se l'uomo ritratto nella cover è davvero Four Tet con la testa sotto un polpo. Sarebbe ancora pù epico.
Ascolto da giorni il nuovo album dei The Rapture, apro tutti i cassetti della mia memoria per cercare le cose giuste da dire e da scrivere, ma senza successo. Cammino per lo studio avanti e indietro come una iena che aspetta la sua parte di cibo razzolata già dai leoni, rosicchio nervosamente tutto ciò che mi capita appresso, anche la bacchetta del mio amato cowbell.
Non mi do pace, non riesco a sciogliermi, troppa tensione, troppo stress - la coscienza che mi ripete a loop che stiamo ascoltando l'album dell'anno, l'album che ancor prima di vedere la luce ha già garantito alla band newyorkese un mezzo tour mondiale.
Niente da fare, mi appoggio sulla poltrona scura ed impolverata del nostro scantinato tecnologico e mi lascio cadere di lato con gli occhi aperti e lo sguardo fisso verso la ventola che ormai darà a tutti i suoi ultimi freschi respiri. Magicamente tutto sembra più chiaro, tutto sembra stranamente limpido: io, la michi ...per le strade di Manhattan nel periodo (l'autunno) più emozionante che la città di NYC possa regalare; tra foglie cadenti e colori avvolgenti, nel fiume di gente sulla quinta strada, abbracciati e confortati dal dolce dondolio di un battello sul fiume Hudson.
Eh si ora ci siamo, con ballate folk di "Come Back to Me" si può respirare la fine della calda estate, con "In The grace of Love" facciamo volentieri il cambio dell'armadio tenendo sempre pronta la t shirt preferita per svestirci accaldati, gridando "How deep is your Love" davanti al palco dei Magazzini Generali, applaudendo i The Rapture.
Eccoci tornati all'appuntamento con la nostra rubrica da Londra, spero abbiate passato una bella estate! Torniamo nella movida parlando di alcuni locali interessanti come lo Xoyo: si trova dietro la stazione di Old Street che è una zona ora un po' troppo commerciale, e se ci passate di notte sarà facile vedere le solite scene di ubriacatura inglese doc, abbinata a mangiate di kebab e patatine o la solita coscia di pollo...mhmh non proprio uno show!
Comunque il locale mantiene una buona qualità musicale, se pensate che a fine agosto James Murphy ha organizzato lì una festa per il 10° anniversario della mitica DFA.
Da mettere in agenda c'è la situazione house old skool Junior Boy's Own, dove faranno un Halloween party con super sorprese ancora da svelare.
Per chi cerca la tipica situazione basement inglese, il giovedì c'è A Love from Outer Space, padroneggiata da Sean Johnston e Andrew Weatherall al The Nest, nella super cool area di Dalston: la regola è che non si superi i 120bpm, decisamente interessante e molto trippy, proprio come il bravo Weatherall sa fare.
Siamo prossimi anche al 20° compleanno del Ministry of Sound in quel di Elephant and Castle, il weekend del 17 e 18 settembre. Ci saranno un sacco di old skool dj tra i quali anche il nostro Claudio Coccoluto, che una decina di anni fa suonava regolarmente alle serate Saturday del Ministry. Non resta che dire... Happy Birthday!
Musicalmente segnalo il progetto del grande Erol Alkan con i Boyz Noize, che fanno uscire su Phantasy record label una traccia (quasi un remake di un pezzo di Leonard Cohen) dal titolo di Avalanche (Terminal Velocity) con un super guest alla voce: Jarvis Cocker. Mi piace quando questi personaggi dance-rock si mischiano, nel complesso direi che settembre promette bene!
No, non ho mai pensato di far parte di una crew di rappers, non ho mai pensato di vestirmi con i pantaloni del mio fratello più obeso ed attaccargli delle bretelle per potermi trascinare per strada molleggiato, con la canotta bianca e le mutande di American Apparel in bella vista.
No non ho mai pensato di fare il gangster ma poeta, il disadattato ma illuminato, non ho mai pensato che qualcuno possa entrare in un locale e scaricarmi addosso la sua Magnum scolpendo sui miei pettorali disumani cicatrici da unire con un pennarello come nei migliori rebus per ragazzi.
No, non ho mai pensato di avvicinarmi così tanto al mondo del Rap, e soprattutto a quello Europeo.
Si perchè, sfatando il mito americano, questo linguaggio viene masticato anche nel vecchio continente e in special modo in Inghilterra, dove l'ispiratoPaul White trita il concetto canonico in un concentrato di suoni, campioni e percussioni che svegliano gli istinti degli scettici coccolandoli con un fritto misto dal sapore funk e soul da ghetto newyorkese.
Non trovo altre parole da attribuire a questo progetto, non servono aggettivi per questo artista perchè sono felice di essermi liberato da quel pre concetto che la mia adolescenza aveva creato pensando al Rap, ma soprattutto al Rap made in Italy come ad una bacinella piena di cloni poeti che dal "senti bella potevi anche dirlo....." sbaciucchiano il successo chiamandolo "pischella".
Per fortuna ho incontrato Paul White.
Se penso a Joakim Bouaziz, mi viene in mente così: alto con i suoi pantaloni forse un po' corti, con le sue scarpette da vela e la sua maglietta a righe.....un marinaio, vi chiederete?
Non proprio, più un tecnico del suono - e non quello stereotipo di super nerd pronto a staccare e riattacare cavi in un complesso emisfero di plugs, ma uno di quelli con personalità e identità sottolineate.
Joakim ce ne ha già fatta ascoltare molta di musica e continua a farci ballare con i suoi djset electro/indie con quel sempre costante french touch che non ci dà fastidio, ma che amiamo e condividiamo, mani al cielo sul dancefloor. Alcuni quando pensano a lui se lo immaginano sporco e sudato sotto il banco del suo nuovo mixer a saldare piste, cavi e cavetti come un bambino che gioca per la prima volta con il Meccano - oppure nel suo nuovo studio a Parigi smanettare sui suoi synth, assorto nella totale devozione in mezzo a venti persone rumorose, con in mano un piatto spicy food del vicino ristorante indiano.
Lo abbiamo incontrato e conosciuto a Milano qualche tempo fa con il suo sorriso smagliante davanti ad un piatto di spaghetti sugo e polpette, chiaccherando di vari aneddoti e di persone in comune, prima di un mega party al Tunnel.
E proprio perchè tutte queste immagini ci lasciano impresse nella mente di come questo uomo viva per e con la musica, lasciamo libero giudizio a tutti coloro che ascolteranno la sua nuova opera, con il consiglio e l'assoluta consapevolezza che la vita è fatta di passioni e che le passioni trascinano l'uomo, l'animo e le folle.