sabato 18 dicembre 2010

The Brandt Brauer Frick Ensemble

Questa potrebbe essere la settimana più bella dell’anno: perché la democrazia Italiana era sul punto di dare la picconata finale per abbattere quel muro grigio che la separa dall’Europa; perché il Plastic fa trent’anni e perché sempre sabato potresti vedere l’Inter diventare finalmente campione del mondo. Oppure perché prendendo sul serio queste parole capiresti il perché regalarti questo long play per la vita.



Perché se di solito scrivo vaghe recensioni, voglio mettere in chiaro che mentre “Bop” gira sul mio Technics ho la netta percezione che codeste parole diveranno un 'ode alla musica in primis e ai tempi che stanno per cambiare.
Perché come in “the Dreamers” di Bernardo Bertolucci, chiunque può notare che fuori dai nostri account digitali, il mondo si sta scrollando dalle spalle le sue incertezze. Gli scontri degli studenti a Londra, la rivolta in Francia per le pensioni, la crisi mondiale ormai al suo picco, sono segni dell’esasperazione popolare; che siamo d’innanzi a un nuovo sessantotto, a nuovo novantuno.. non v’è dubbio. Cito l’anno di “Blue Lines” dei Massive Attack per esprimere al meglio la sensazione di stupore che ho avuto udendo queste nove tracce, che mischiamo le carte in tavola, tra musica classica, free jazz, minimal techno e dub. Nulla da spartire sia chiaro con quelle puttanate elettro sperimentali alla Moritz Von Oswald trio, che si rifanno a un suono anni novanta ma riletto in chiave più elementare, vista la totale assenza della componente adolescenziale di quei tempi.
Perché da allora sono passati più di vent’anni e in mezzo oltre allo sdoganamento di internet ci è passata pure l'era dell’home studio. Ovvero di chi, senza una cultura tecnica di base, ha potuto comunque iniziare a miscelare suoni, senza seguirne le regole classiche di armonia, di qualità della registrazione, insomma di tutto quel mondo che porta i dischi degli anni settanta ancora splendidi e sognanti sino a noi oggi.


Del resto Daniel Brandt, Jan Brauer e Paul Friedrich Frick sono Musicisti: non fanno ne i dj, nei producer, ne tanto meno i Pr. E’ gente che cura la qualità di un singolo suono emesso, lo fa suonare tanto per intenderci meravigliosamente bene. E se un paragone si può fare, quello più corretto è quello alla grande cucina: una musica di ricerca, fatta di ingredienti freschi e di stagione, amalgamati con sapienza, ma con la voglia di innovare.
A molti potrà sembrare un disco minimal modern jazz, con quei richiami vaghi alla dOP ma è molto di più: è cura maniacale, che si evidenzia sin dalla cover, con il disegn di uomini pinkfloydiani con la valigia, sostare su scale mobili. Certo ammetto che ascoltarlo dagli speaker interni del portatile non sarebbe una grande mossa (un po’ come mangiare il carpaccio di cappesante di Heinz Beck a Roma con piatto e posate di plastica) perché perdereste la potenza delle frequenze alte, nitidissime e avvolgenti, quelle delle basse, disegnate per colpire allo sterno il fruitore, ma non le medie, pensate invece per colpirlo al cuore. Chiunque ha un minimo di senso estetico non può che rimanere ammirato dal gusto e dall'eleganza di quest’opera, che tende a innovare sia il panorama della musica elettronica sia quello della musica classica, suggerendo il La alla commistione tra due generi e mondi ormai non così distanti distanti.
Perdonate tutta questa serietà. Ma la musica, questa musica, è davvero una cosa serissima.
posted by Ivan Minuti

Brandt Brauer Frick
You make me real
!K7
novembre 2010

mercoledì 15 dicembre 2010

Suuns: Zeroes QC


Fa freddo, tanto freddo, troppo freddo. E mentre novembre scivola inesorabile verso Dicembre (“è già Dicembre?! Uuh, com’è volato”), con i babbi natali appesi in posizioni improbabili ai balconi, le mani gelate e le bestemmie (quante!), cerco conforto in ogni piccola cosa. Solitamente questo si traduce in un auto-coprifuoco perenne, con le chiappe al calorifero a guardare la tormenta fuori.
E i Suuns mi sono venuti in aiuto, perchè sono proprio questo. Sono quel teporino (alle chiappe, ma non solo) che rende tutta quella glacialità distante, bella, come quando ti concentri su un singolo fiocco di neve e lo guardi ballare finchè cade a terra. Sarà che sono canadesi, ma non me li immagino con l’estate. Se suonano i Suuns, fuori deve fare un freddo porco. Come ora.
Nei loro 10 pezzi di debutto c’è un po di tutto (la rima è involontaria), elementi anche distanti tra di loro, che, ciononostante, presi, rimestati, abbinati e fatti propri dai ragazzi di Montreal assumono una loro armonia. Giusto per cominciare dalla fine, Organ Blues è una cover - riuscitissima - dei Tyrannosaurus Rex (sì, quei capelloni glam inizio ‘70) che chiude l’album assieme a Fear, un pezzo di sola (semplice) chitarra elettrica&voce che fa pensare ai bei tempi andati e alla cioccolata calda con la persona giusta.
Il resto dell’album passa per l’indie fine ‘90 sia inglese che america(lifornia)no (vedi: Up Past The Nursery, Marauder) con tanto di parole masticate e giri di basso da una parte e chitarrone urlanti e percussioni isteriche dall’altra. Su tutto ciò, immaginate che abbiano preso Beck (post mid-2000s), lo abbiano polverizzato e ce l’abbiano sparato sopra col cannone sparaneve.

Che il risultato (improbabile?) a me piace ve l’ho già detto.
Ora, piazzate le chiappe sul calorifero e ascoltatevi Arena, possibilmente sorseggiando una cioccolata. O un vin brulè.


posted by 747

Sunns - " Zeroes QC"
Secretly Canadian - 2010

giovedì 2 dicembre 2010

The Green Door Kids

Tu puoi scegliere.
Puoi scegliere se passare una domenica pomeriggio da Sereendipity, se berti una birra dal cinese a fianco, se prenderti una becks o una super Tennent's e abbinarci magari due crocchette di pollo dal McDonalds di fronte. Puoi scegliere di rompere le palle ai Barking Dogs, si insomma a Nicola o a Cristian (puoi scegliere quale dei due) o isolarti nell’ascoltare dischi, vinili e cds tu pensa.. Oh puoi anche startene a casa, e comprarti su internet questo album, così da avere un’altra anonima cartella nel tuo hard disk esterno da un terabyte, è più comodo.
Su internet (dicono) puoi scegliere addirittura il formato: punto wav o punto Mp3 - Ma che domande! Puoi scegliere anche di non comprarti nulla e affondare nel piumone, è più comodo ancora. Ti guardi un po’ di Tv (ma li qualcuno che ha il fratello che fabbrica decoder ha già scelto per te che sei obbligato a comprarlo) oppure passi il tempo a letto con il tuo laptop a leggere recensioni online, anche se con questa storia del copia incolla i testi si assomigliano un po’ tutti. Anch’io posso scegliere di stroncare un album o di suggerirti di regalartelo per natale (il file mp3 non è bellissimo da mettere sotto l’albero), quindi penso che tu abbia di nuovo l’opportunità di scegliere.
 
A) Pensare che dei ragazzini di età compresa dai dieci ai sedici anni si mettano a fare un disco di cover è qualcosa che mette i brividi. Perché se tu alla loro età avresti solo sognato di giocare con la Guitar Hero, oggi non potresti neppure immaginare quanto si possano  divertire in uno studio di registrazione, meglio se dei padri. E l’idea di vederli in giro per l’Europa in tour (solo ai festival d’estate, il resto dell’anno hanno scuola) è qualcosa che non può non smuovere la tua attenzione. E poi diciamocelo, mettere sul piatto questi brani con la consapevolezza che tra i player vi sia chi ha meno della metà dei tuoi già giovani anni è qualcosa di elettrico, eccitante. Io non sto parlando dei bambini di Gerry Scotti di “Io canto”, tetre cavie ridicolizzati dai genitori. Sto parlando di Rock n Roll vero, come dimostra l’open track “Moody”, marcia sin dal giro di basso che apre la traccia, alla voce sbilenca che s’innalza dal groove e apre alle percussioni.Se già il pezzo del 1966 dei Monks è qualcosa di totalmente fuori di testa per l’epoca, la cover di “I hate you” mantiene la stessa sporcizia delle chitarre, ma affina un beat più circolare, che lo rende un pezzo estremamente vintage e contemporaneo al tempo stesso. Tutto l’album scivola velocissimo così, in un tuffo nel passato, consapevolmente malato, opportunamente grezzo e destabilizzante. E in una città come Milano dove ormai i pezzi punk hanno preso il posto di “I will Survive e Ymca” speriamo che queste nove tracce possano rappresentare una buona alternativa per gli aspiranti Dj nostrani - eccezion fatta per la meravigliosa “Metaphysical Circus”, che spero rimanga la chicca da sfoderare al momento giusto per chi ha avuto il coraggio e l’intuizione di acquistare questo splendido bianco.

B) Che la trovata di Emily MacLaren (Michael Dracula/ The Lady Vanishes), Sam Smith (Mother & The Addicts) e Jamie Greer (Park Attack) di prendere dei ragazzini tra i dieci e i sedici anni sia una pensata originale, non vi è alcun dubbio; ma è ascoltando questi trenta minuti scarsi che qualche perplessità in merito la lasciano. Perché nel panorama musicale internazionale, vi sono talmente tante opportunità di ascoltare buona musica, che di un disco di cover fatte da dei bambini (orchestrati da esperti ingegneri del suono) sembra proprio non ve ne sia bisogno. Perché se è vero che il risultato non è poi malaccio, apostrofare questo disco con appellativi positivi sembra piuttosto bizzarro. Bizzarro lo è affiancarlo a prodotti di ben altra fattura, che ahimè ricevono spesso bastonate da critica e pubblico. Il lavoro nella sua interezza ha spiragli positivi, ma realizzare una cover di "Louie Louie" sembra quanto meno scontato. Per carità.. avercene, ma scomodare persino Elvis in una versione che definire “elementare” è fin troppo ironico, sembra un po’ presuntuoso.
E se è vero che l’amore non sta nel risultato ma nel tentativo (questa è mia!), è anche vero che di questi tempi (almeno in giro per Milano) non abbiamo bisogno di dare una ulteriore occasione agli aspiranti Dj nostrani di mettere ancora “I wanna be your dog”.  O no?



Ora tocca tocca a te scegliere.
Tu puoi scegliere.
A o B?
It’s up to you.
posted by Ivan Minuti


The Green Door Kids - "Muzical Youth Lp"
Optimo Music
novembre 2010

venerdì 26 novembre 2010

djset | The Barking Dogs for Serendeepity


Ci sono momenti che non possono essere programmati, ed eventi che se fossero stati pensati non avrebbero avuto lo stesso mix perfetto che solo la spontaneità e l'alchimia di un attimo di "distrazione" possono dare. Una sorta di deriva artistica che porta su strade meno frequentate e tra cui è più bello perdersi, e perchè no, giocare a una sorta di nascondino.
Ora immaginatevi cosa accadrebbe se due a cui istinto e gioco non mancano, due a cui basta accendere la prima fiamma per far divampare un incendio, ecco immaginatevi cosa accadrebbe se questi due, che per caso sono i The Barking Dogs, si trovassero in un posto che si chiama Serendeepity. E adesso immaginatevi che tra un disco ascoltato e l'altro qualcosa scatti, che decidano di trovare quello che non stavano cercando. Qualcuno l'ha documentato, e ora potete decidere di perdervi anche voi.
Buon ascolto.







The Barking Dogs djset
@ Serendeepity concept store (milano)
Novembre 2010

lunedì 15 novembre 2010

Kim Ann Foxman | Creature EP



In attesa dell’uscita del nuovo lavoro dei Hercules & Love Affair, Kim Ann Foxman non se n’è stata con le mani in mano. Un EP di debutto con la neonata MR.INTL (si gioca sempre in casa: dietro c’è Andrew Butler) e sonorità che probabilmente caratterizzeranno anche il prossimo album dei H&LA; la situazione è sempre molto statunitense, ma dal 2008 si è perso il mood solare disco su cui cantava il buon Antony e Kim Ann è tornata in città.
Creature e What You Need, queste le due tracce, sono un salto indietro di una quindicina d’anni, nel cuore degli anni ’90. Sono un club tutto nero sottoterra, sudaticcio e promiscuo, quando ancora non vigeva il “la gente è qui per la gente” (cit.) ma c’era la voglia di sentire (in, e con, tutti i sensi) e seguire il ritmo - probabilmente con l’aiuto di una qualche sostanza psicotropa.
BPM bassi, percussioni e drum machine come se non ci fosse un domani, un giro di tastiera cupo ma orecchiabilissimo et voilà!, a voi il nuovo trend della cosiddetta underground club scene. Dopo un periodo sulle spiagge di Ibiza al tramonto (istigato anche dagli stessi H&LA e poi dagli Aeroplane a ruota), un ritorno all’oscurità (era ora), ai tombini fumanti e alla nebbia - oscuro è anche il video di Creature, dal bianco&nero ai ballerini. Il percorso intrapreso è chiaro (sic!).
La parola chiave resta America, e Kim Ann debutta con un lavoro che, come lei, è newyorkese. E, come tutti i newyorkesi, è incazzato.  

posted by James R.



Kim Ann Foxman
"Creature" EP
Mr Intl. records 2010

mercoledì 10 novembre 2010

Panico | il nuovo album: "Kick"

Kick, Panic, Chile, rock, band

Nel mio mondo immaginario, un dizionario dei sinonimi e contrari ben illustrato come dio comanda (?) alla voce panico dovrebbe contenere le seguenti voci: elettrizzante, sincopato, destabilizzante, ironico, menefreghista, pimpante, salutare, superman, autostop. Si perché battutona del “Gioca Jouer” a parte i Panico sono tutto questo: è un macrocosmo denso di contaminazioni, è rock, non si scappa, ma fatto “come lo fa quello e con l’energia di quell’altro”. Si insomma le percussioni dei Chk Chk Chk, ma usate dagli stessi Clash.
E’ il disequilibrio mentale, orchestrato con garbo e un poco di presunzione: presuntuoso lo è prendere un band cilena e credervi. Presuntuoso lo è potenziarla con un missaggio perfetto, che mette in risalto già dalla prima canzone il beat dinamico che la batteria mantiene per tutte queste dieci canzoni (eccezion fatta per “Distant Shore” mirobalante e desertica ballata che chiude questo notevole lavoro).
Ho pensato al termine notevole perché codesta è roba che ha il suo perché, è ambiziosa, è consapevole -  soprattutto della sua freschezza. C’è spensieratezza nell’aria, da qui menefreghismo (come testimonia “Algodon”) argomentato però con il pensiero di persone palesemente adulte, che forse farei bene a descrivere mature, o già mature, per lo meno musicalmente.




Visto il video? Io la trovo un’idea tanto semplice quanto complessa. E non è cosa da poco, essere a proprio modo originali senza spiazzare. Personalmente mi piacciono parecchio e fa niente se non riesco a catalogarli sotto un unico aggettivo, anche se la vaga somiglianza del cantante al Vigna, mi fa pensare di utilizzare l’aggettivo “culinaro” (altra battutona).
Insomma I Panico, sono una band che sarà capace di affermarsi e riconfermarsi nel tempo, perché con tali basi e metodo nel lavorare, si può solo che diventare ancora più grandi. Le mie sembrano parole di un promoter di concerti rock, prog rock, post rock e indie rock: invece hanno tutto il tiro di chi, ascoltando per la prima volta l’album in macchina, è arrivato alla quarta canzone (“Reverberation Mambo” appunto) con tanto di braccio alzato e sigaretta in bocca, con stampato in volto quell’espressione tipica di chi si gongola sapendo già di dare la dritta giusta a qualche malcapitato, appena arrivato al bar. Forse avrei attaccato bottone così: - “Sai cosa significa panico? E’ un sentimento della natura intesa come forza vitale e creatrice, che suscita ammirazione e allo stesso tempo sgomento”. - “Da paura!” - “Si. Appunto…”
posted by Ivan Minuti

Listen Here:

Panico - "Kick"
Chemikal Underground
11 ottobre 2010

venerdì 5 novembre 2010

Discosafari | THE SWISS live + THE BARKING DOGS djset

the swiss, disco, live, band
Quando arriva una notte come questa ci ricordiamo che tutto quello che facciamo, la musica che ascoltiamo, gli articoli che scriviamo, le persone che incontriamo, quello in cui crediamo, tutto, tutto ha un senso che si incanala proprio in vista di questa notte.
Quando le passioni convogliano su un palco, dentro la consolle, tra gli strumenti di un live, nel backstage, e al suono delle prime note esplodono e si diramano verso il pubblico come onde sulla superficie del mare, e da questo mare riecheggia un battito all'unisono, ecco, questa è la vibrazione che ci fa sentire vivi,insieme, sotto la stessa la luna, ballando come una cosa sola.

Discosafari inaugura la sua terza stagione con una nuova - storica, location, portando sul palco del Magnolia un live che nel panorama mondiale di oggi può veramente essere considerato un'eccezione: si perchè questo trio di Adelaide ha messo in piedi, con il suo primo ep Bubble Bath (su Modular), un fenomeno che ci porta dritti dritti nella macchina del tempo. Diciamolo, la disco, chi la suona più. Godiamo di un'ottima e ben fornita scena nudisco con tutte le sue declinazioni più o meno elettroniche, più o meno pop, ma ammettiamo pure che non siamo più abituati a vedere tre baldanzosi giovani brandire chitarra e bacchette.   Invece è proprio quello che fanno i The Swiss, e lo fanno pure bene.

Facendo due conti:  il singolo Bubble Bath spopola tra i fans come una dichiarazione di appartenenza, l'album gode dei remixes di nomi come  Tensnake, The Glimmers e Knightlife, in studio i ragazzi lavorano con niente di meno che  Donnie Sloan (producer e songwriter per gli Empire of the Sun) e dopo aver aperto il tour di Ladyhawke in patria, ora i The Swiss rispondono alla chiamata del vecchio continente. Come dire, Australians do it better?

Li vedrete stasera insieme al djset dei The Barking Dogs, patron di Discosafari e producers freschi freschi di releases  su Mad On The Moon, Gomma Rec e Panini (by RushHour), ma il consiglio è quello di chiudere gli occhi e semplicemente, ascoltare con il corpo.

05 novembre 2010
Discosafari @ circolo Magnolia
The Swiss live
The Barking Dogs djset





lunedì 1 novembre 2010

JATOMA


Se l’arte è specchio del mondo che ci circonda, non sorprende che in questi tempi caotici la musica cerchi di sfuggire alla catalogazione, ibridandosi continuamente e  cercando nuove forme espressive. A cavallo tra Ambient, Elettronica do it yourself e con un’attitudine all’induzione di ipnotici stati di trance, Jatoma è un disco che potrebbe accompagnarvi per un bel pezzo di strada. E se è davvero necessario definire il cd che abbiamo tra le mani, è sicuramente tra gli ultimi nati nella ormai numerosa famiglia dell’elettronica colta nordeuropea – una famiglia che negli ultimi vent’anni ha saputo dire la propria, conservando ritmi e una ricerca dei suoni del tutto originali e  rielaborando in maniera intelligente tutta la tradizione più spiccatamente ‘club’.
Se inizialmente era stato possibile mantenere un certo riserbo sull’identità dei componenti di questo trio danese, qualche minuto di ricerca sul web ci regala un sorriso compiaciuto nell’incontrare il volto di Tomas Barfod, in arte Tomboy – già batterista dei Who Made Who. Accanto a lui due giovanissimi talenti dalle idee chiare e con la volontà di produrre qualcosa di decisamente fuori dalle dinamiche del dancefloor, un sound capace di dare qualcosa in termini di ispirazione al pubblico e agli stessi musicisti. Tra le 13 tracce ‘Little Houseboat’ e ‘Manipura’ si ritagliano uno spazio da protagonista, mentre ‘Dust in Wong’ e ‘Alang Beach’ portano suggestioni quasi impressioniste. ‘Bou’ e la suite ‘Luvdisc’ sono invece i pezzi che con una ripetitività ossessiva nelle ritmiche costruite da molteplici elementi regalano quegli stati di ‘sospensione’ tipicamente techno.
posted by Francesco Soragna

Listen to Jatoma:


JATOMA - "Jatoma"
Kompakt 2010

martedì 26 ottobre 2010

Louis La Roche | djset @ Sneakers

Louis La Roche, Sneakers, Rocket Milano

Classe 1990, sì, 1990, avete capito bene,   per questo ragazzino inglese che al momento si trova in tour in Australia. Stiamo parlando di Louis La Roche, prodigio della scena dance made in Uk che ha divorato gli anni '90 impastandoli con le radici rock e disco soul dei genitori e ispirandosi a nomi mastodontici come The Prodigy,  Chemical Brothers e Basement Jaxx, alla French house e ai Daft Punk. Un fenomeno mondiale che nonostante la giovane età ha le idee chiare e non esita a ricercare anche nelle proprie produzioni (è fresco di release e sembra che non voglia perdere tempo a riposare), quel fruscio da vinile così inconfondibilmente old school.

Lo hanno ospitato a Milano i ragazzi del party Sneakers! al cavernoso Rocket, pietra miliare dell'underground milanese, ed è stato un delirio di sudore e dancefloor. Insieme a Louis La Roche, in consolle l'accopiata resident fresca di nuova collaborazione  Allo (La Valigetta) e Alex Ormas (Magnum).

Godetevi il djset di Louis La Roche per (ri)vivere quella notte!



sabato 23 ottobre 2010
Sneakers! @ Rocket - Milano
guest: Louis La Roche
residents: Allo + Alex Ormas

giovedì 21 ottobre 2010

DOP live | milano 22.10.2010

Non solo elettronica dalle terre francesi, ma un trio, i dOp (Clement Zemstov - mix, Damien Vandesande - keyoards, Jonathan "JoJo" Illel - lyrics), che ha in mano tutte le carte per smuovere una nuova scena house che da il massimo nei live, quando tra la folla - e in consolle - si nuota tra fiumi di vodka ondeggiando su vocals e tastiere.
Amici stretti dei Noze e in particolare di Nicholas, in cui hanno trovato un mentore ("Never play sober" è la massima preferita), dichiarano "We come from the planet Aguayo, which is much bigger than planet Earth" e giusto per dirla tutta non sono certo dei novellini: jazz, raggae, rock (abbandonato successivamente alla tragica scomparsa del chitarrista Roman), hip pop. Proprio seguendo i compatrioti in concerto si innamorano di Berlino e della sua poliedrica scena clubbing, anche per scappare da un certo conservatorismo francese che non lascia molti spazi, e da quel 2007 ha inizio la loro, personalissima, prorompente, storia.



I dOp, in tour mondiale per la promozione del "Greatest Hits" targato Circus Company, saranno a Milano domani per "A deeper fly on Friday" (inizio live h02.00) affiancati in consolle dal duo Megaphono, versione dirty dei djs e producers italiani The Barking Dogs

friday 22 oct 2010
@ G - via bonnet 11 milan
DOP live
MEGAPHONO djset

venerdì 15 ottobre 2010

Black Angels: "Phosphene Dream"



Continuo a non capire perché se fai parte di una rock band devi essere per forza uno che abusa di droghe; come i dj... che, al di là della musica che spingono, sono considerati nell’immaginario collettivo come dei fattoni alcolizzati incapaci sul serio di lavorare. I Black Angels, americani “Made in Texas” come una delle Stratocaster e formatisi nel 2004, sono ormai al terzo disco; ma nonostante questo si portano in giro fin da “Passover” quell’aurea di fattanza che contraddistingue la loro musica, non loro. Perché se è vero che il genere sia facilmente riconducibile a Janis Joplin, o a quel momento storico, a quella sana psichedelia culturale che lo ha contraddistinto, è altrettanto vero che la loro musica racchiude quei tratti somatici tipici dei nostri giorni.
Non è un caso che il loro successo arrivi a delineare ancor più un momento di cambiamento nella musica globale. Vi è infatti in atto un ritorno alla “musica complessa”: ovvero a quelle vibrazioni e stati d’animo, che non potendo contare sulla disponibilità economica delle case discografiche (e quindi sulle loro imposizioni), emergono puntando sulla qualità degli arrangiamenti, sulla complessità armonica, su quelle ritmiche strutturate e difficili e su quella libertà di creare tipiche solo di chi ha sempre e solo puntato sul proprio istinto. Per rimanere in tema preferisco ammettere che “Phosphene Dream” è un disco stimolante, distante per molti versi da “Direction to see a ghost ” nonostante i due anni anni appena trascorsi. Immagino però persone avvicinarsi a loro guardando “Telephone” su YouTube, singolo che ha anticipato questo Lp (notevole persino nella grafica) e le immagino pensare a  un prodotto commerciale tipo gli “Smash Mouth. Le immagino poi cambiare velocemente canale nonostante intravedano Alex Maas al David Letterman, per continuare senza sosta nel loro frenetico zapping. Ne vedo ahimè poche sobbalzare come il sottoscritto al primo ascolto di Natural Selection, pietra miliare del nuovo concetto psicotropo (Def. che ha affinità con la mente) di musica a suo modo elettronica. Perché colpisce, il fatto di notare uno spesso come James Lavelle, che in carriera ha collaborato con Robert del Naja dei Massive Attack e Josh Homme dei Queens Of The Stone Age (giusto per citarne due) aver scelto per il lancio del suo sublime lavoro, proprio la band di Austin.


Fa altresì riflettere che in un momento dove ormai la tecnologia va ormai per la maggiore (basti pensare ai banner della Native Instruments ormai dappertutto in rete) siano chitarre scassate, amplificatori tirati completamente a fuoco e il suono profondo dei floor toms a invadere la scena musicale. Si perché se non l’aveste ancora capito, questo album si candida ad essere seriamente uno dei lavori dell’anno, e forse (ma si potrà dire solo con il senno di poi) uno dei più importanti di questa decade, sempre che i Black Angels non riescano in futuro a essere ancor più storti e devianti, ancor più apocalittici e sincopati, pur rimanendo allo stesso tempo ordinati e potenti, orgogliosi e taglienti. 
Questo però concedetemelo non lo dico io. Per me parla il cambio di ritmo in “Bad Vibration”, la sabbia fine della spiaggia di “Haunting at 1300 McKinley” e il suo riff, così drasticamente distorto in maniera elegante: già alla quarta canzone si potrebbe togliere il vinile dal piatto per farlo ricominciare da capo.  
Ma è riascoltando “River of blood” che trovo corretto lasciare il mio pensiero a metà, per non svelarvi la seconda parte del disco. Perché parlarne per un volta risulterebbe come svelarvi il finale di un film perfetto. Perfetto per la mancanza di improvvisi cambi di direzione, che lasciano spazio ancora a magnificenti paesaggi atti ad amplificare l’effetto della droga assunta, l’essenza, frivola ed euforica dei nostri pensieri più improvvisi; si insomma, di tutti i nostri sogni.
                                                                                               
posted by Ivan Minuti
Highlights:
05 River of blood
08 True believers




The Black Angels - "Phosphene Dream"
Blue horizon ventures

martedì 12 ottobre 2010

Will Sessions: Kindred



Will Sessions è l’ennesimo volto di Detroit, quella motor town patria della black music che non finisce mai di sorprenderci. Giovane ensemble di otto elementi capitanato dal trombettista e arrangiatore Sam Beaubien, Will Sessions raccoglie un’eredità preziosa e ci dimostra nell’ampiezza stilistica della sua produzione (hip-hop, jazz, funk...), come le molte facce di Detroit abbiano un’unica anima.
Kindred, l’album appena uscito su The Few è un tributo ai maestri del jazz-fusion, a maestri come Miles Davis, John Coltrane, Sun Ra...
A rimpolpare i già numerosi Will Sessions per l’occasione ci sono professionisti come Wendell Harrison e Jeremy Ellis; Harrison, volto noto di Tribe, presta il sax nella title track, uno struggente cool jazz dove la jam session si evolve continuamente, producendo attraverso il ritmo e il dialogo degli strumenti un sogno jazz che vorremmo non finisse mai.
Anche ‘Seven Miles’ ha lo stesso potere di ‘Kindred’, ma qui il ritmo è vellutato e ci accarezza, registrato dal basso, elemento chiave di un groove sotterraneo senza posa, mentre gli altri strumenti disegnano atmosfere delicate che crescono rompendosi progressivamente sul suono del vento che ha accompagnato la jam session.
‘Kindred’ merita un ascolto approfondito e del tempo: le tracce hanno la (rara oggi, purtroppo) capacità di trasformarsi, regalandoci l’inatteso.

Le recenti collaborazioni del gruppo con Slum Village, Mayer Hawthorne ed altri grossi calibri, nonché il background dei guest Harrison e Ellis (quest’ultimo poliedrico musicista con all’attivo releases su Transmat, Guidance e Ubiquity) ci aiutano a comprendere la grandezza della cultura musicale afro-americana, e come il suo legame con le moderne forme di musica da ballo sia indissolubile.
posted by Francesco Soragna




Will Sessions - "Kindred"
Few Records 2010



lunedì 4 ottobre 2010

Cyndi Lauper: Memphis Blues

Ultimamente mi è capitato di preparare una parmigiana di melanzane per amici. Un gesto semplice, ma apprezzato, con mi grande stupore. Stupore si, perché nell’era del digitale, si insomma.. della condivisione globale di idee, film e ricette, tutti conoscono già tutto e stupirsi per qualcosa di semplice è già di per se una cosa che può essere considerata eccezione.
Prendi Cyndi Lauper: chiunque conosce la carriera di questa cantante, chiunque saprà indicarti il percorso di questa artista; chiunque potrebbe raccontarvi aneddoti particolari, ma non io. Io che la musica la ascolto un po’ tutta, ma che ho sempre pensato che “Girls just want to have fun” fosse un pezzo di Madonna. Stupito? lo sono anch’io.. soprattutto nell’apprezzare questo Memphis Blues.


Mi sono sentito spiazzato non tanto per il genere dell’album (sin dal titolo, un’idea te la puoi già fare), ma da come qualcosa di semplice mi abbia colpito a fondo. Si perché questo è un bell' album. Non riesco a usare altri aggettivi se non questo. Ma cosa significa bello? Immagino che sulla definizione di questo concetto si siano arrovellati per secoli i più grandi pensatori, ma ero convinto che con una breve ricerca via internet avrei trovato un modo semplice per definire questo aggettivo, ergo per raccontare questo lavoro. Invece niente. Così provo a fare da me: ogni volta che mi sforzo di cucinare qualcosa di buono, sono sempre curioso del parere altrui, che puntualmente si riduce a -”Buono!”. - “Ma come? (penso ogni volta) faccio uno spago alla bottarga, una tartare, la parmigiana e l’unica parola che mi dici è sempre buono?? Dimmi di più! “. Ecco fermo lì.
Io questo album lo trovo Bello perché è proprio come uno spaghetto aglio e olio: sarà anche qualcosa di semplice, non sarà certo cucina molecolare come quella di Ferran Adrià, ma è ruspante, vero, piacevole da ascoltare (a ogni boccone). Già dall’antipasto “Just Your Fool” con Charlie Musselwhite, tutto è croccante e saporito; e siccome l’occhio vuole la sua parte proseguendo tutto ricorda il colore rosso dei capelli dell’ormai signora Lauper certo, ma con un gusto che solo la cucina popolare sa esprimere. Ma è quando arriva il primo “Early in the mornin” con B.B. King e Allen Toussaint che capisco che non c’è una traccia che può essere estrapolata per raccontarti questa cena. Solo forse quando arriva l’amaro dell’assolo di chitarra di “Crossroads”, capisci che quella che è appena trascorso è stata davvero una Bella serata. Tutto qua. Qualcosa di Bello a cui vorrei tanto che tu partecipassi.
Ah.. a proprosito: My name is Earl.

posted by Ivan Minuti
Highlights:
06 Down Don't Bother Me
03 Early In The Mornin' 



Cyndy Lauper - Memphis Blues
Downtown Music, Mercer Street

giovedì 30 settembre 2010

clubnight | CLASSIC @ tunnel | second season

Clasic opening season 2010 with Ame, The Electricalz, Cristian Croce - graphic by Julia Zacchetti



E' iniziata una nuova stagione di Clubbing e a Milano il clubbing vero lo si trova il sabato sera con Classic al Tunnel.
 Per il secondo anno si prospetta un'intensa attività di parties ad alta qualità musicale, grazie alla direzione artistica dei residents (le due affermate realtà milanesi People e The Electricalz), al dancefloor rinnovato con suggestioni  low tech e al sound immortale della migliore House music internazionale.


Classic @ Tunnel club, Milano
tutti i sabati



martedì 21 settembre 2010

KING BLESO and the Voodoo Soul Unlimited : Oku


Ma è Gopher?!?
Il dj incontrato casualmente al C.S. Cantiere anni fa, a.k.a. Dario Troso (non esattamente l’ultimo arrivato sulla scena) è l’autore di questo album non recentissimo - ma non per questo meno godibile. Di quella serata a base di energici groove ricordo l’entusiasmo dirompente e il sorriso stampato di quel funk addicted. Oku è infatti il prodotto di uno dei più famelici divoratori di funk e black music in circolazione, che ha potuto liberare i suoi istinti e (in)confessabili desideri con una intera band a disposizione, i Voodoo Soul Unlimited.
Qui si respira Curtis Mayfield a pieni polmoni e siamo subito in qualche ghetto nero degli States, tanto tanto tempo fa...
Arrangiamenti perfetti nel riprodurre fedelmente quel sound che ci fa muovere, quei groove fatti di basso e batteria, quelle chitarre funky ormai entrate purtroppo in un immaginario sempre più stereotipato; unico neo il contrasto tra atmosfere così magistralmente orchestrate e la voce del produttore che a tratti non convince in un contesto così profondamente black.
Tra le tracce spiccano il funk Chicken Heads Stomp, la ‘galleggiante’ Rock Away, la decisamente afro Mokele-mbembe e Lost in Bayanga.

posted by Francesco Soragna



King Bleso & The Voodoo Soul Unlimited
Oku
giugno 2010

giovedì 16 settembre 2010

AEROPLANE: We can't fly | Eskimo Records

Da ragazzo mi sono sempre chiesto che razza di tipi fossero i giornalisti musicali, che preparazione avessero in merito alla musica o che tipo di formazione necessitassero per diventarlo. Poi però crescendo, un po’ per scherzo ho rischiato di finire col prendermi sul serio nel farlo, il giornalista. Ma qual è la definizione di giornalista? Colui che scrive sul giornale? Credo calzi più un’espressione del Blasco come “quel tale che scrive sul giornale”.
Si perché diciamocelo: in fondo anche se hai ascoltato migliaia di dischi, visto un sacco di concerti o partecipato a molte feste open bar,  nessuno ti autorizza a dare voti o stelline al lavoro di qualcun altro. Puoi esprimere un parere, un' opinione che in quanto tale per buona educazione va comunque rispettata; ma la triste realtà è che il tuo commento in merito alla musica nasce dal fatto che essa, quella vera, quella fatta di partizioni e note, di arrangiamenti e mix, forse hai sempre e solo sognato di farla.

Aeroplane We can't fly


Scelgo di dilungarmi su questo incipit perché ho capito al primo ascolto che “We can’t fly” è uno di quei lavori che devi metabolizzare pian piano, digerire lentamente. Perché il rischio ascoltandolo in maniera veloce è quello di cadere nel catalogare un album, come quello in questione, nel libro mastro dei lavori che non inventano niente di nuovo.
Ma Vito De Luca e Stephen Fasano devono essere tizi  che hanno ascoltato musica e brani di cui forse la maggior parte dei saputelli nostrani non immaginano nemmeno l’esistenza.
Le influenze sono chiare e i riferimenti altrettanto: gli Aeroplane sono stati capaci di re-inventarsi soluzioni importanti riuscendo a fotografare il prossimo futuro della musica dance. Io non lo so se le chitarre sono suonate per davvero e francamente non mi interessa se è una Fender, una Moog midi da sei mila euro o se è stata accordata da un tizio di Seattle.
Aeroplane, dj, Stephen Fasano,Vito De Luca

Mi importa riuscire a comunicare quel gusto retro di Fish in the Sky, via di mezzo (per come la vedo io e forse io soltanto) tra una sigla televisiva dei telefilm di Italia1 e i capelli lunghi delle rock star degli anni ottanta è vero, ma con il levare in faccia, caratteristica peculiare di cui si abusa nei nostri tempi. Questo è quello di cui voglio scrivere: musica che hai suoi riferimenti, i suoi punti fermi, ma in grado di spiazzarti. Parliamo di musica e finiamola tutti di dire sembra questo, mi ricorda quello, l’ho già sentita da qualche parte. Perché la traccia che da il nome all’album  (la seconda per intenderci) è un caposaldo da duemila dieci e una notte: con questo intro squisitamente preso bene, con il campione del bambino che anticipa questo coro soul; e poi spazio ai synth, ai lead synth, ai synth bass, e a questi super accordi di piano. Questo album ti entra dentro lentamente, finendo però con il risucchiarti veloce come i due minuti e trentasei di “Superstar” e il suo vocoder. Poi se parliamo di “I don’t feel” la citazione è d’obbligo alla strapotenza vocale alla Grace Jones, con questo rullante panino, farcito da un incisivo arpeggio che forse è proprio preso da “Your love” di Frankie Knuckles ma utilizzato in maniera efficace ed originale. Mi auguro solo di leggere di questo lavoro, sperando di non essere stato il solo a cogliere il messaggio. E se Aereoplane non sarà davvero in grado di volare allora vorrà dire che sarò stato l’unico in grado. 

posted by Ivan Minuti



AEROPLANE - We can't Fly
Eskimo Records
sept. 2010

martedì 14 settembre 2010

Salvador DALI | Il Sogno si Avvicina

mostra Dalì milano,  il sogno si avvicina

Negli anni ’50 in America veniva trasmesso il programma televisivo What’s My Line? in cui quattro persone bendate dovevano interrogare l’ospite di turno per indovinarne la professione. In particolari episodi a presenziare erano attori, cominci e artisti la cui identità era sempre celata ai concorrenti. All’inizio del 1957 venne mandato in onda un episodio in cui, dopo l’entrata in scena dell’ospite, una signora rompeva il ghiaccio con una domanda generale:
 
- Are you associated with any of the arts?
“Yes” era la risposta compiaciuta e sicura di una voce dal percepibile accento latino.
- Would you ever have been seen in television?
- Yes
- Have you achieved eminence in some field other than television?
- Yes
- Would it be the sort of exploit that ma possibly reach the front page of the newspaper?
- Yes
- Are you accustomed to appearing before audiences?
- Yes
- When you appear before audiences do you ever wear less than you’re wearing now? (pubblico ride)
- Do you have anything to do with sports or any form of athletic endeavour?
- Yes
- Do you use anything in your hands for your job, like a pencil or typewriter?
- Yes
- Would you be considered a writer?
- Yes

Sentirsi rispondere affermativamente ad ogni tipo di domanda poteva risultare abbastanza frustrante per i concorrenti: “There’s nothing this man doesn’t do!”

- Have you had something published?
- Yes
- Could he.. Does he ever do any drawing like comic strip?
- Yes
- You are a human being? (pubblico ride ancora)

Finalmente qualcuno riesce a leggere attraverso la profusione di suggerimenti forniti dalle straordinarie abilità del personaggio in questione.

“Have you a moustache that his rather well known, in fact could you almost be caricatured just by that?”
“Yes”
“Are you Salvador Dalì?”

Il vero talento non è mai confinato nelle categorizzazioni di genere (che genere è? che artista è?). Nell’arte non esistono generi. Ed è questo il genio che ci destabilizza, che non ci dà punti di riferimento.

La Persistencia de la Memòria

Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech, Marquis of Dalí de Púbol (1904 – 1989) sapeva fare tutto. Principalmente pittore - La Persistència de la Memòria rimane probabilmente il suo capolavoro più conosciuto – il lavoro di Dalí spazia dal cinema (collaborò con Buñuel per il cortometraggio Un Chien Andalou), alla scultura, dalla scrittura (La Vita Segreta di Salvador Dalí è il titolo della sua autobiografia) alla pubblicità (fu l’ideatore, fra l’altro, del logo dei leccalecca Chupa Chups), sperimentando nuove tecniche di rappresentazione (come le illusioni ottiche), suggestionato dalla pop art.

La sua educazione rimase formalmente inconclusa dopo essere stato espulso dall’Academia de San Fernando di Madrid nel 1926 per aver affermato che nessun insegnante fosse adeguatamente preparato per giudicare il suo lavoro.

Celebre frame tratto da "Un chien andalou", emblema dello sgaurdo surrealista

Durante la London International Surrealist Exhibition del 1936, invitato a tenere una conferenza in intitolata Fantomes Paranoiaques Authentiques (Autentici Fantasmi Paranoici), Dalí si presentò in una tuta da sub, una stecca da biliardo in mano e una coppia di levrieri russi affermando di voler mostrare di star immergendosi profondamente nella mente umana.
  
Mercoledì 22 settembre apre a Milano, al Palazzo Reale, l’esibizione Salvador Dalí, il sogno si avvicina, che rimarrà visitabile fino al 30 gennaio 2011. L’esposizione, a cura di Vincenzo Trione, è frutto della collaborazione con la Fondazione Gala – Salvador Dalí di Figueres (città natale dell’artista) e presenta più di 50 opere provenienti da musei di tutto il mondo (fra i quali l’Animation Research Library dei Walt Disney Animation Studios di Burbank, California, che rende disponibili il cortometraggio Destino di Salvador Dalí e Walt Disney). L’architetto occupatosi dell’allestimento, Oscar Tusquets blanca, amico e collaboratore di Dalí, ha riprodotto la sala di Mae West all’interno del percorso espositivo, come aveva già fatto nel museo di Figueres.
posted by Davide Marchesi


Mostra
Salvador Dalì - Il sogno si avvicina
22 Settembre 2010 - 30 Gennaio 2011
Palazzo Reale, Milano

giovedì 9 settembre 2010

GOMMA 145 | Italo! House! Now!

A pochi mesi di distanza da Disconvention, supporter e partecipanti si ritrovano di nuovo assieme grazie a Gomma.
L’etichetta di Monaco con questa compilation dà corpo alla sempre più diffusa impressione che la scena nu-disco in Italia non sia un fuoco di paglia: gli artisti nostrani iniziano a viaggiare e a ricevere onori più che meritati, elaborando un sound eclettico da non catalogare frettolosamente come una ripresa dell’italo-disco: se è vero che il lavoro di molti producer consiste nella rielaborazione e nell’editing, è altrettanto vero che la sensibilità con cui viene affrontata l’impresa è quanto mai attuale, permeabile alle molteplici influenze, sempre più disponibili grazie alla rete.
Accanto a veterani come Severino Panzetta (Horse Meat Disco) e Fabrizio Mammarella (qui presente sotto le spoglie di Telespazio) spiccano giovani come i milanesi The Barking Dogs e Cécile.
Otto tracce, otto artisti diversi: purtroppo solo quattro dei brani saranno disponibili per i cultori della plastica nera.

italo house now, gomma records, The Barking Dogs

‘Red Onions’ di Bottin è pura ironia, quasi un pezzo da retrogame, marcetta nu-disco capace di far ballare divertendo.
Severino ci riporta diritti negli anni ’90 con un pezzo old-school, forse un po’statico nella costruzione , dove percussioni metronomiche sono accompagnate da piano e sample vocale.
Sesso e sudore per la traccia dei The Barking Dogs realizzata assieme ad Hard Ton, "the biggest disco queen of the 21st century"; un funk incalzante e liberatorio, per le piste più ‘wild’.
Cécile, giovane rivelazione produce una traccia fitta di suoni e variazioni, dimostrando abilità compositiva e nel mixing; ‘Sweetness 86’, melodica e sognante al punto giusto, è un continuo susseguirsi di quiete e movimento calcolati con sapienza.
Rodion rielabora ‘The Logical Song’, brano cult dei Supertramp: se la vena malinconica della traccia rimane tale, un tocco elettronico la rende meno eterea, dandole un aspetto vagamente kraut.
Gli Ajello colpiscono ancora con un basso importante che sostiene un viaggio di suoni psichedelici; è una battaglia spaziale retrò con la traccia di Mammarella, che con drum machine impazzite e un basso acid non dà tregua, una vera marcia da dancefloor.
‘Ringtone Sonata’ di Alan1, è un electro-funk sensuale e trascinante, un’autostrada per far viaggiare ricordi ed emozioni ormai lontane.
posted by Francesco Soragna

Tracklist
1. Bottin - Red Onions
2. Severino Horse Meat Disco - Bounce
3. The Barking Dogs - The Big Deal (feat Hard Ton)
4. Ajello - Crystal Babe
5. Cecile - Sweetness 86
6. Rodion - The Logical Song
7. Telespazio - Odeon
8. Alan1 - Ringtone Sonata

10 settembre 2010
Italo House Now  - vvaa
Gomma Rec

giovedì 2 settembre 2010

NINA HAGEN: Personal Jesus | Universal

Sono i negozi di dischi i nuovi “porti di mare” dell’era moderna. Di qualsiasi generi essi siano, dal mega store a quello dell’usato, sono da sempre frequentanti da moltitudini di personalità differenti, accompagnate dalle loro più disparate storie.
Qualcuno potrebbe farmi notare che in ogni boutique o alimentare succede; ma è solo in questi luoghi che ogni persona può trovare riparo per diverso tempo e in alcuni casi per intere giornate. Ed è proprio questo il punto: le persone qui dentro ascoltando musica per ore si immergono nei propri pensieri, scambiano istintive opinioni, ma soprattutto finiscono spesso con il cedere aneddoti e “favolose” leggende tra un disco e l’altro.
Così capita che in un buon negozio di musica elettronica, curiosando, ti imbatti in  “Endtroducing” di Dj Shadow, ritrovandoti in pieno in quello di cui ti sto scrivendo, o che ad esempio tu possa sentire parlare di Nina Hagen. La vicenda che mi è stata citata racconta di Ibiza e di una trentunenne, che negli anni settanta sposa una ragazzino di sedici, e che verso la fine della decade, durante un talk show sulla Tv tedesca, arriva a spiegare la masturbazione femminile in diretta. Così non avendo idea del personaggio, mi imbatto in una discografia interminabile su Discogs e in foto stravaganti su Google (anche se forse avrei fatto bene a sbirciare su Wikipedia..).

Nina Hagen, Personal JesusIl look Punk misto Plastic qualche pregiudizio me lo rifila, spiazzandomi nel trovare un album folk, quasi country, a tratti blues come si evince dal Wah-wah della chitarra che chiude questa buona mezz’ora di musica; “Sometimes I ring up heaven” è il classico pezzo, con quel mood fumoso e voce vibrante, che adoro ascoltare su Lifegate nel rientrare a casa sfuocato la mattina con il sole già alto. “Nobody’s Fault but mine” parte con beat hip hop, grancassa, clap, proseguendo spensierata e alcolica prima di terminare con un efficace coro blues. Le contaminazioni sono evidenti e tante, ma non mi riferisco solo a quelle musicali; le storie poi.. valgono tutte, quello che rimane è l’aver scoperto una bella voce che si esprime con grande personalità. Questo alla fine è forse solo l’obiettivo di chi si trova (anche se pur di passaggio) in un porto di mare: volgere verso mete sconosciute, per avere un giorno nuove storie da raccontare a qualcuno, magari proprio all’interno di un negozio di dischi.

posted by Ivan Minuti



      Highlights:
      03 Personal Jesus
     13 Sometimes I ring up heaven



NINA HAGEN - "Personal Jesus"
Universal
Settembre 2010