martedì 26 luglio 2011
Clap Rules | Golden Hands
I Clap Rules nascono nel 2009 dall'incontro di tre grandi talenti: Fabrizio Mammarella enfant prodige della disco anni 2000, Max Leggieri solidissimo chitarrista e bassista e Andrea Gabriele poliedrico musicista e sperimentatore sonoro.
In questi due anni hanno prodotto tracce e remix che finiscono sulle etichette piu interessanti in circolazione: Tiny Sticks, Dissident e Dfa, per citarne solo alcune.
Adesso esce Golden Hands su Bearfunk che non delude le aspettative: dieci tracce dove si alternano numeri di pop malinconico (Silver Mountains, Ecoteca, Aria tre ), boogie funk deviato (Oh Uiba), cose uptempo come Azzardo e Approccio e disco (Get Excited), il tutto assemblato con grande classe e senza concedere nulla ai clichè. Inutile aggiungere altro.
Esce in cd e doppio vinile. Da sentire dall'inizio alla fine, e poi ancora e ancora.
lunedì 25 luglio 2011
Milano Jazzin Festival 2011 | Erykah Badu
L' Arena è un posto che adoro, mi fa venire in mente estati in motorino in due e fiumi di birra ballando in uno degli scenari più belli di questa Milano grondante d'afa e follie. L'adoro un po' meno quando mi rendo conto che ho fatto la sgargiante e ho messo degli shorts che quelli di Daisy in confronto sono lunghi, e non faccio in tempo a fare due metri superate le mura del Canonica che in men che non si dica divento il banchetto preferito di nugoli di zanzare agguerrite. Inizio a correre come una disperata cercando un Autan come un assetato cerca acqua nel deserto, però poi vedo il bancone della Nastro Azzurro e improvvisamente una birra ghiacciata diventa la priorità di tutti i miei pensieri.
Intanto alla biglietteria vip succedono storie epiche che racconteremo ai nostri figli prima di andare a dormire, come quella del tizio di Radio Diggei che affiancato da una silenziosa (probabilmente per la vergogna) bionda mozzafiato dello showbiz cerca invano di fare trovare il suo nome sulla lista agli addetti dietro al vetro - alla quinta volta, tutti hanno capito che sei di Radio Diggei, ma il pass per te nun ce sta! capito?
Intanto ritiriamo i nostri due pass vip in lista Erykah Badu (ahahah), e l'omino gentile dietro il vetro ci informa che possiamo anche andare nel bakstage, bella lì. Erykah stiamo arrivando!
Nel prato a farsi mangiare dalle zanzare c'è anche tutta una serie di personaggi che non salutano e che non salutiamo, ma che ci importa incontriamo qualche amico giusto e mentre le birre si moltiplicano scopro anche che la Barilla ha fatto una specie di pasta al sugo monodose da mangiare in giro, scaldata nel microonde: passo.
Finalmente andiamo sotto al palco, è assurda la distanza tra i fortunati lì (paganti) e quelli in tribuna, se fossi in loro mi sarei portata un cannochiale. Con il consueto ritardo a un certo punto il palco si popola (è la parola giusta) di musicisti e coristi, poi entra Lei: cappello, vestito giallo tra sahara e giamaica e stivali chilometrici viola. Devo dire che dalle foto me la immaginavo diversa, che ne so un po' venere nera alla Naomi, ma qui mi sembra più la figlia di Whoopi Goldberg.
Comunque poco importa, quando inizia a cantare nell'aria sembra esserci qualcosa di nuovo, diventa tutto un po' frizzante e un po' fuori dal mondo. Un benvenuto caldo e coinvolgente è solo il preludio di un'ora e mezza senza pausa di concerto, con melodie che intrecciano reggae, soul e hiphop. La voce di Erykah è vibrante e versatile e passa con scioltezza dai toni di un dolce uccellino a quelli di una signora nera che non ti manda a dire niente.
Mi distraggo cinque minuti e quando torno mi rendo conto che sono tutti in piedi sulle sedie, la tribuna ha superato i cancelli e si è riversata sottopalco, lei è scesa dallo stage continuando a cantare e intorno a me sento un'ondata di "Erykah I love youuuuu!"
Attacca una voce maschile, non vedo niente perchè lei è sommersa dalla folla, si dice che stia cantando uno del pubblico ma giuro che dalla voce poteva essere Seal, comunque era evidentemente uno stacchetto programmato, ma ad ogni modo ha avuto il suo effetto.
A fine concerto sono tutti ancora elettrizzati e mentre l'area si svuota, troviamo il varco per il backstage, dove ci dicono che sarà "Lei" a convocarci. Mi sento un po' come se avessi chiesto udienza al Papa, meno male che inganniamo l'attesa con altri tre o quattro ragazzi lì ad aspettare come noi con il famoso pass vip giallo che gli esce dalla tasca. Aspettiamo aspettiamo e non succede niente, birra non ce ne è più e le sigarette sono finite circa dopo il terzo brano. Improvvisamente ecco un movimento, arrivano una ventina di persone, quasi tutti neri, alcuni con figli minuscoli al seguito, colonizzano lo spazio dove siamo noi e iniziano a scattare foto una dopo l'altra - butto la testa nella mischia, forse mi sono persa qualcuno di famoso: dopo poco realizziamo che si tratta del fan club di super-aficionados di Erykah, ma mentre uno dei suoi coristi si fa vedere e chiacchiera un po' in giro, di lei ancora nessuna traccia.
Decidiamo che aspettare con la penna in mano non fa per noi, in questa Milano già stanca non c'è un posto per portarla a suonare da qualche parte e diciamocelo, a quella cifra piuttosto organizzavamo un mini-festival.
Salutiamo tutti e ce ne andiamo in motorino a bere un drink seguito dalla ormai classica tartare di mezzanotte: a tavola il dibattito è scegliere tra la Badu, Sade e Grace Jones. Ai posteri il verdetto, per alcuni scontato - so solo che da stasera vorrei essere un po più nera. Black Power.
posted by Meow
Erykah Badu - live
Milano Jazzin Festival
21.07.2011
giovedì 7 luglio 2011
Hauschka | Salon des amateurs
“Io che avrei voluto esserci, ma è come se ci fossi stato”Io interpreto, suono e risuono. Eseguo, leggo, improvviso. Consulto e divago. Note, accordi, filosofie. Interpreto e reinterpreto: a mio piacimento, divago. Aggiungo monete, batterie. Tic Tac è il suono. La marca, la scatola di plastica di pacchetti di caramelle. Sottili come corde metalliche di pianoforti a coda, violini, d’oltralpe e nostrani. Corde vibranti milioni di volte, percosse da oggetti di plastica, legno, metallo. Casse di risonanza laccate. Io intuisco, capisco, ricordo nuove sonorità. Io credo in nuove forme di suoni. Non sono programmi, softsynth analogici o multimediali. Sono arcaici, primordiali, rudimentali i rumori che sento, percepisco. Io guardo vibrare, io noto muovere.. verso un’altra decade. Io sento e risento nell’anima nuove forme di armonia. Improvviso, leggo la musica e di nuovo improvviso: il contrario al contrario e viceversa. Io che sono scapigliato e ordinato, io che sono un pianista, un musico, un artigiano. Io che sfioro i semitoni, io che sono stato studente e ora un’artista. Io che so cos’è l’amor. Io che divago ancora, m’invento un nuovo modo di toccare, andare e viaggiare con la musica. E’ musica quella che pervade la mia stanza, mentre suono e ammiri il tuo vinile girare, ruotare, svanire verso la fuga. E’ una sala piena di amanti, fine. Infatuati della musica tutta, classica, d’avanguardia. Chi mi può dire cosa sia realmente? Chi può esprimere chi vi sia dietro questa melodia che dipingo, coloro e finisco con lo sfumare nell’aria? Io che non ti mai detto dove andare, chi seguire. Io arte e tu da un lato. Io eterno e questo disco, che tu hai dimenticato sul sedile passeggero della tua macchina del tempo. Io sono un virtuoso, vivo, reale, contemporaneo e futuro. Io sobbalzo fermo e immobile sul mio sgabello, mentre penso e ripenso a quanta musica ignori. Musica come questa, che riaffiora nella mia mente poliedrica, polifonica. Io che mi chiamo Volker Bertelmann, io che non ti conosco, che non ti conosco ancora.
“Io che avrei tanto voluto esserci, ma è come se ci fossi sempre stato”
posted by Ivan Minuti
Hauschka - “Salon des amateurs”
2011 - Label: 130701
martedì 5 luglio 2011
The Heels of Love | The Heels of Love ( NANG )
La riproducibilità tecnica dell'opera d'arte modifica il rapporto delle masse con l'arte.
(W. Benjamin - Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit)
E' possibile fare House Music nel 2011? E' possibile continuare a sequenziare beats dopo Chicago, New York, Detroit, Londra, Berlino? Gli squassamenti dell'house contemporanea non si sono forse esauriti tra le mura del primo Tresor andando ad abbellire l'habitat della borghesia intelligente? Il continuo progresso tecnologico annichilisce anche gli ultimi residui di libertà e toglie all'arte i temi. La House è finita. Per quanto sovversiva è ormai obbligata a utilizzare un linguaggio preposizionale. Lo spettro che da Mallarmè in poi ha terrorizzato le coscienze artistiche, ossia l'impossibilità di dire parole non ridotte a meri pezzi di scambio si aggira tra noi.
'fanculo a Benjamin, Adorno e Mallarmè. Let's dance.
Si, è possibile fare House Music nel 2011, si tratta di venire a patti con una storia di circa trent'anni che se ti ci metti a seguirla ci perdi la vita sulle piste e sui dischi, sulle note di copertine scritte in piccolo, sui sintetizzatori, sulle drum machines nelle stanzette, sui compressori e ascoltare il disco da capo per sentire come fa la cassa, finchè non riesci a farla uguale.
Si parte deep con "Cosmo" a settare l'atmosfera di tutto il disco: tra la Jamaica e la New Wave con il basso che gira funk su sperimentazioni di beats dub noise ipnotiche, ci si perde tra gli spazi dilatati dai delay e le distorsioni della tessitura ritmica in Harmonizer.
"Slow" il secondo pezzo è un beat disco rallentato con una linea di basso acid, ma preso male, a salire e scendere fino a che non entra il live bass a lanciare un incastro hip su una chitarra funk. Ogni sample che sento è un pezzo di quella "storia" di cui si va parlando. Gli strumenti suonano, ma c'e' spazio per sentirli ri-suonare, tra riverberi lunghissimi, ascendenze di delay tirati per il collo fino alla distorsione ed ecco che risale il basso acid. Non è ancora finita, arriva un solo che senti il noise del jack di un monosynth del '77. Ciao.
E via così su "First Steps" tra synthismi e stabbs, giri di basso regolari e profondi, rullanti secchi e dritti con la loro bella coda di plate scintillante come una chitarra National, e quando entrano gli shaker li senti che ti massaggiano la pelle.
Arriva "Chain Gang" primo singolo uscito qualche mese fa con un remix bomba club di Lasertom. Si tratta di un basso talmente strampalato da poter trovare la propria perfetta collocazione solo sotto il vocal crooner-glam di Max Essa (vedasi sopra alla voce "storia"). Arricchisce la confezione una bella collezione di samples kraut su cui il vocal si adagia e scherza "What's that noise?".
Si riparte con una versione più lineare del primo singolo HOL, uscito su Mad On The Moon l'anno scorso con versioni di Mammarella e Ajello. Poi arriva la roba pesante. "Old Stuff", arpeggio Tangerine '80, beat con cassa in delay e tappeti space a lanciare il flauto di Rocca in un solo che riporta lo stile un po più indietro, parliamo di un viaggio tipo "Organization". Poi "Blue Gitanes", che dimezza e rallenta, con un basso fondo e lento, salgono morbide le chitarre, ad accompagnare il solo synth, ruvido e sporco a raddrizzare un roba che sembra funk-progressive italiano anni '70 e si sente.
"Getting Down" o potremmo chiamarla "I'm going to spend my life with you", ma c'e solo quello che senti dell'originale, poi è una svolta di esperimenti sul groove che si ferma, riparte, improvvisa percussionismi sulle linee di basso e synth, c'e un bel lavoro, incastri continui, accenni di New York e poi la follia, il campionamento tirato ad andare in loop malato per la pista.
"The Beat" a citare i Chris & Cosey che evidentemente hanno un certo ascendente sul duo e riprendere un beat che fa parte di quella "storia" di cui si parlava, con un cantato tra Lydon e la demo version di "Cosmic Dancer", dislocazione del senso e ricostruzione. A chiudere c'e' "Flight 707" un pezzo che nella perfezione della sua classicità ti lascia il senso di questo disco: è impossibile fare un disco House nel 2011 senza sporcarsi le mani con tutta la storia che c'è dietro. L'importante è farlo come si deve. Suonare bene, produrre con classe, far ballare la gente.
Il disco in questione è di The Heels Of Love, Milano, Italia.
posted by The Man Who Failed To Hurt
The Heels Of Love
NANG (UK)
2011
NANG (UK)
2011
venerdì 1 luglio 2011
Sonar 2011 | Alva Noto & Ryuichi Sakamoto
Non sono bastati i pochi feedback delusi-annoiati di chi conosceva già l' "S-tour"a farmi rinunciare, e ho fatto bene. Non avrei mai pensato di assistere allo spettacolo più gratificante di un intero Sonar proprio domenica, il giorno in cui il programma serale avrebbe dovuto includere solo svacco!
Sarà stata l'inaspettata visione di un tramonto su Barcellona da un' altrettanto inaspettata location sui pendii frondosi di Montjuic, ma la spettacolarità di un luogo può aver contribuito a rendere la mia mente pronta a lasciarsi estasiare. O forse, più semplicemente, l'estasi l' hanno creata loro, unendo due menti poetiche e geniali con una disarmante precisione razionale.
Ci aspettavamo solo un teatro, ma i posti in quinta fila che avevo prenotato mesi prima con devota attenzione si trovavano in un anfiteatro greco scavato nella roccia, circondato dalla vegetazione e illuminato dal cielo ancora chiaro, proprio come canta l'originale "By this river" di Brian Eno "Underneath a sky that's ever falling down", la cui cover verrà proposta pochi minuti dopo, commovente.
Alva Noto e Ryuichi Sakamoto riescono sempre a produrre nel pubblico una sensazione di doverosa riverenza - e ci mancherebbe.
La tappa di Barcellona era l'ultima del tour in supporto del loro ultimo album "Summvs", il quinto che li vede lavorare fianco a fianco dal 2002. Il pianista poetico e il pioniere elettronico, incredibilmente sinergici nel produrre contrasti emozionali e sensoriali, si presentano sul palco silenziosamente, e si avvicinano l'uno all'enorme e caldo pianoforte nero, l'altro a laptop e devices posti su un desk bianco e glaciale. Sempre contrasti, sempre alchimia.
Sono a parecchi metri l'uno dall'altro, su un palco senza fronzoli, ma la loro intesa silenziosa e distante parte in un secondo, quando il lungo schermo si accende delle prime luminose e astratte acromie. Carsten Nicolai ( vero nome e allo stesso doppio artistico di Alva Noto) è il vero regista di tutto questo, e con la sua piattaforma di programmazione riesce (per quanto mi riguarda abbastanza misteriosamente) a sincronizzare suoni e immagini alla perfezione. Il risultato sono frequenze profonde e ritmiche in bilico tra tensione musicale e progettualità visuale.
Le poche note oscure e sensuali di Sakamoto hanno una carica emotiva che rende il più ruvido glitch un attimo di poesia, mentre la regolarità delle battute di Alva Noto sembra dare rigidità all'impianto melodico, ma è proprio quella sorta di minimalismo armonico a darmi l'impressione di essere in un sentiero dal quale posso uscire senza paura di perdermi.
I video accompagnano l'intero spettacolo con gli intrecci grafici che i cultori della Raster Noton conoscono bene, aiutano il pubblico a farsi investire completamente dalla musicalità dei contemplativi assoli di pianoforte senza perdere il senso razionale delle frequenze elettroniche.
In alcuni momenti le melodie si fanno seducenti e nostalgiche, come quando colgo le note di "Forbidden Colors"; in altri l' energico tocco fisico delle corde del piano provoca una carica empatica ai limiti dell'irrequieto, l' alternanza di emozioni, di suoni, di tecniche e il contrasto fra di esse sembra essere alla base del progetto, l' intento risulta chiaro, il risultato coerente, ed io mi sento di apprezzare a pieno l'estetica dell'apparente imperfezione.
posted by Julia Zacchetti
Sonar 2011
19.06.2011 @ Teatro Grec, Barcelona
Alva Noto + Ryuichi Sakamoto
19.06.2011 @ Teatro Grec, Barcelona
Alva Noto + Ryuichi Sakamoto
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