martedì 26 ottobre 2010

Louis La Roche | djset @ Sneakers

Louis La Roche, Sneakers, Rocket Milano

Classe 1990, sì, 1990, avete capito bene,   per questo ragazzino inglese che al momento si trova in tour in Australia. Stiamo parlando di Louis La Roche, prodigio della scena dance made in Uk che ha divorato gli anni '90 impastandoli con le radici rock e disco soul dei genitori e ispirandosi a nomi mastodontici come The Prodigy,  Chemical Brothers e Basement Jaxx, alla French house e ai Daft Punk. Un fenomeno mondiale che nonostante la giovane età ha le idee chiare e non esita a ricercare anche nelle proprie produzioni (è fresco di release e sembra che non voglia perdere tempo a riposare), quel fruscio da vinile così inconfondibilmente old school.

Lo hanno ospitato a Milano i ragazzi del party Sneakers! al cavernoso Rocket, pietra miliare dell'underground milanese, ed è stato un delirio di sudore e dancefloor. Insieme a Louis La Roche, in consolle l'accopiata resident fresca di nuova collaborazione  Allo (La Valigetta) e Alex Ormas (Magnum).

Godetevi il djset di Louis La Roche per (ri)vivere quella notte!



sabato 23 ottobre 2010
Sneakers! @ Rocket - Milano
guest: Louis La Roche
residents: Allo + Alex Ormas

giovedì 21 ottobre 2010

DOP live | milano 22.10.2010

Non solo elettronica dalle terre francesi, ma un trio, i dOp (Clement Zemstov - mix, Damien Vandesande - keyoards, Jonathan "JoJo" Illel - lyrics), che ha in mano tutte le carte per smuovere una nuova scena house che da il massimo nei live, quando tra la folla - e in consolle - si nuota tra fiumi di vodka ondeggiando su vocals e tastiere.
Amici stretti dei Noze e in particolare di Nicholas, in cui hanno trovato un mentore ("Never play sober" è la massima preferita), dichiarano "We come from the planet Aguayo, which is much bigger than planet Earth" e giusto per dirla tutta non sono certo dei novellini: jazz, raggae, rock (abbandonato successivamente alla tragica scomparsa del chitarrista Roman), hip pop. Proprio seguendo i compatrioti in concerto si innamorano di Berlino e della sua poliedrica scena clubbing, anche per scappare da un certo conservatorismo francese che non lascia molti spazi, e da quel 2007 ha inizio la loro, personalissima, prorompente, storia.



I dOp, in tour mondiale per la promozione del "Greatest Hits" targato Circus Company, saranno a Milano domani per "A deeper fly on Friday" (inizio live h02.00) affiancati in consolle dal duo Megaphono, versione dirty dei djs e producers italiani The Barking Dogs

friday 22 oct 2010
@ G - via bonnet 11 milan
DOP live
MEGAPHONO djset

venerdì 15 ottobre 2010

Black Angels: "Phosphene Dream"



Continuo a non capire perché se fai parte di una rock band devi essere per forza uno che abusa di droghe; come i dj... che, al di là della musica che spingono, sono considerati nell’immaginario collettivo come dei fattoni alcolizzati incapaci sul serio di lavorare. I Black Angels, americani “Made in Texas” come una delle Stratocaster e formatisi nel 2004, sono ormai al terzo disco; ma nonostante questo si portano in giro fin da “Passover” quell’aurea di fattanza che contraddistingue la loro musica, non loro. Perché se è vero che il genere sia facilmente riconducibile a Janis Joplin, o a quel momento storico, a quella sana psichedelia culturale che lo ha contraddistinto, è altrettanto vero che la loro musica racchiude quei tratti somatici tipici dei nostri giorni.
Non è un caso che il loro successo arrivi a delineare ancor più un momento di cambiamento nella musica globale. Vi è infatti in atto un ritorno alla “musica complessa”: ovvero a quelle vibrazioni e stati d’animo, che non potendo contare sulla disponibilità economica delle case discografiche (e quindi sulle loro imposizioni), emergono puntando sulla qualità degli arrangiamenti, sulla complessità armonica, su quelle ritmiche strutturate e difficili e su quella libertà di creare tipiche solo di chi ha sempre e solo puntato sul proprio istinto. Per rimanere in tema preferisco ammettere che “Phosphene Dream” è un disco stimolante, distante per molti versi da “Direction to see a ghost ” nonostante i due anni anni appena trascorsi. Immagino però persone avvicinarsi a loro guardando “Telephone” su YouTube, singolo che ha anticipato questo Lp (notevole persino nella grafica) e le immagino pensare a  un prodotto commerciale tipo gli “Smash Mouth. Le immagino poi cambiare velocemente canale nonostante intravedano Alex Maas al David Letterman, per continuare senza sosta nel loro frenetico zapping. Ne vedo ahimè poche sobbalzare come il sottoscritto al primo ascolto di Natural Selection, pietra miliare del nuovo concetto psicotropo (Def. che ha affinità con la mente) di musica a suo modo elettronica. Perché colpisce, il fatto di notare uno spesso come James Lavelle, che in carriera ha collaborato con Robert del Naja dei Massive Attack e Josh Homme dei Queens Of The Stone Age (giusto per citarne due) aver scelto per il lancio del suo sublime lavoro, proprio la band di Austin.


Fa altresì riflettere che in un momento dove ormai la tecnologia va ormai per la maggiore (basti pensare ai banner della Native Instruments ormai dappertutto in rete) siano chitarre scassate, amplificatori tirati completamente a fuoco e il suono profondo dei floor toms a invadere la scena musicale. Si perché se non l’aveste ancora capito, questo album si candida ad essere seriamente uno dei lavori dell’anno, e forse (ma si potrà dire solo con il senno di poi) uno dei più importanti di questa decade, sempre che i Black Angels non riescano in futuro a essere ancor più storti e devianti, ancor più apocalittici e sincopati, pur rimanendo allo stesso tempo ordinati e potenti, orgogliosi e taglienti. 
Questo però concedetemelo non lo dico io. Per me parla il cambio di ritmo in “Bad Vibration”, la sabbia fine della spiaggia di “Haunting at 1300 McKinley” e il suo riff, così drasticamente distorto in maniera elegante: già alla quarta canzone si potrebbe togliere il vinile dal piatto per farlo ricominciare da capo.  
Ma è riascoltando “River of blood” che trovo corretto lasciare il mio pensiero a metà, per non svelarvi la seconda parte del disco. Perché parlarne per un volta risulterebbe come svelarvi il finale di un film perfetto. Perfetto per la mancanza di improvvisi cambi di direzione, che lasciano spazio ancora a magnificenti paesaggi atti ad amplificare l’effetto della droga assunta, l’essenza, frivola ed euforica dei nostri pensieri più improvvisi; si insomma, di tutti i nostri sogni.
                                                                                               
posted by Ivan Minuti
Highlights:
05 River of blood
08 True believers




The Black Angels - "Phosphene Dream"
Blue horizon ventures

martedì 12 ottobre 2010

Will Sessions: Kindred



Will Sessions è l’ennesimo volto di Detroit, quella motor town patria della black music che non finisce mai di sorprenderci. Giovane ensemble di otto elementi capitanato dal trombettista e arrangiatore Sam Beaubien, Will Sessions raccoglie un’eredità preziosa e ci dimostra nell’ampiezza stilistica della sua produzione (hip-hop, jazz, funk...), come le molte facce di Detroit abbiano un’unica anima.
Kindred, l’album appena uscito su The Few è un tributo ai maestri del jazz-fusion, a maestri come Miles Davis, John Coltrane, Sun Ra...
A rimpolpare i già numerosi Will Sessions per l’occasione ci sono professionisti come Wendell Harrison e Jeremy Ellis; Harrison, volto noto di Tribe, presta il sax nella title track, uno struggente cool jazz dove la jam session si evolve continuamente, producendo attraverso il ritmo e il dialogo degli strumenti un sogno jazz che vorremmo non finisse mai.
Anche ‘Seven Miles’ ha lo stesso potere di ‘Kindred’, ma qui il ritmo è vellutato e ci accarezza, registrato dal basso, elemento chiave di un groove sotterraneo senza posa, mentre gli altri strumenti disegnano atmosfere delicate che crescono rompendosi progressivamente sul suono del vento che ha accompagnato la jam session.
‘Kindred’ merita un ascolto approfondito e del tempo: le tracce hanno la (rara oggi, purtroppo) capacità di trasformarsi, regalandoci l’inatteso.

Le recenti collaborazioni del gruppo con Slum Village, Mayer Hawthorne ed altri grossi calibri, nonché il background dei guest Harrison e Ellis (quest’ultimo poliedrico musicista con all’attivo releases su Transmat, Guidance e Ubiquity) ci aiutano a comprendere la grandezza della cultura musicale afro-americana, e come il suo legame con le moderne forme di musica da ballo sia indissolubile.
posted by Francesco Soragna




Will Sessions - "Kindred"
Few Records 2010



lunedì 4 ottobre 2010

Cyndi Lauper: Memphis Blues

Ultimamente mi è capitato di preparare una parmigiana di melanzane per amici. Un gesto semplice, ma apprezzato, con mi grande stupore. Stupore si, perché nell’era del digitale, si insomma.. della condivisione globale di idee, film e ricette, tutti conoscono già tutto e stupirsi per qualcosa di semplice è già di per se una cosa che può essere considerata eccezione.
Prendi Cyndi Lauper: chiunque conosce la carriera di questa cantante, chiunque saprà indicarti il percorso di questa artista; chiunque potrebbe raccontarvi aneddoti particolari, ma non io. Io che la musica la ascolto un po’ tutta, ma che ho sempre pensato che “Girls just want to have fun” fosse un pezzo di Madonna. Stupito? lo sono anch’io.. soprattutto nell’apprezzare questo Memphis Blues.


Mi sono sentito spiazzato non tanto per il genere dell’album (sin dal titolo, un’idea te la puoi già fare), ma da come qualcosa di semplice mi abbia colpito a fondo. Si perché questo è un bell' album. Non riesco a usare altri aggettivi se non questo. Ma cosa significa bello? Immagino che sulla definizione di questo concetto si siano arrovellati per secoli i più grandi pensatori, ma ero convinto che con una breve ricerca via internet avrei trovato un modo semplice per definire questo aggettivo, ergo per raccontare questo lavoro. Invece niente. Così provo a fare da me: ogni volta che mi sforzo di cucinare qualcosa di buono, sono sempre curioso del parere altrui, che puntualmente si riduce a -”Buono!”. - “Ma come? (penso ogni volta) faccio uno spago alla bottarga, una tartare, la parmigiana e l’unica parola che mi dici è sempre buono?? Dimmi di più! “. Ecco fermo lì.
Io questo album lo trovo Bello perché è proprio come uno spaghetto aglio e olio: sarà anche qualcosa di semplice, non sarà certo cucina molecolare come quella di Ferran Adrià, ma è ruspante, vero, piacevole da ascoltare (a ogni boccone). Già dall’antipasto “Just Your Fool” con Charlie Musselwhite, tutto è croccante e saporito; e siccome l’occhio vuole la sua parte proseguendo tutto ricorda il colore rosso dei capelli dell’ormai signora Lauper certo, ma con un gusto che solo la cucina popolare sa esprimere. Ma è quando arriva il primo “Early in the mornin” con B.B. King e Allen Toussaint che capisco che non c’è una traccia che può essere estrapolata per raccontarti questa cena. Solo forse quando arriva l’amaro dell’assolo di chitarra di “Crossroads”, capisci che quella che è appena trascorso è stata davvero una Bella serata. Tutto qua. Qualcosa di Bello a cui vorrei tanto che tu partecipassi.
Ah.. a proprosito: My name is Earl.

posted by Ivan Minuti
Highlights:
06 Down Don't Bother Me
03 Early In The Mornin' 



Cyndy Lauper - Memphis Blues
Downtown Music, Mercer Street