Continuo a non capire perché se fai parte di una rock band devi essere per forza uno che abusa di droghe; come i dj... che, al di là della musica che spingono, sono considerati nell’immaginario collettivo come dei fattoni alcolizzati incapaci sul serio di lavorare. I Black Angels, americani “Made in Texas” come una delle Stratocaster e formatisi nel 2004, sono ormai al terzo disco; ma nonostante questo si portano in giro fin da “Passover” quell’aurea di fattanza che contraddistingue la loro musica, non loro. Perché se è vero che il genere sia facilmente riconducibile a Janis Joplin, o a quel momento storico, a quella sana psichedelia culturale che lo ha contraddistinto, è altrettanto vero che la loro musica racchiude quei tratti somatici tipici dei nostri giorni.
Non è un caso che il loro successo arrivi a delineare ancor più un momento di cambiamento nella musica globale. Vi è infatti in atto un ritorno alla “musica complessa”: ovvero a quelle vibrazioni e stati d’animo, che non potendo contare sulla disponibilità economica delle case discografiche (e quindi sulle loro imposizioni), emergono puntando sulla qualità degli arrangiamenti, sulla complessità armonica, su quelle ritmiche strutturate e difficili e su quella libertà di creare tipiche solo di chi ha sempre e solo puntato sul proprio istinto. Per rimanere in tema preferisco ammettere che “Phosphene Dream” è un disco stimolante, distante per molti versi da “Direction to see a ghost ” nonostante i due anni anni appena trascorsi. Immagino però persone avvicinarsi a loro guardando “Telephone” su YouTube, singolo che ha anticipato questo Lp (notevole persino nella grafica) e le immagino pensare a un prodotto commerciale tipo gli “Smash Mouth”. Le immagino poi cambiare velocemente canale nonostante intravedano Alex Maas al David Letterman, per continuare senza sosta nel loro frenetico zapping. Ne vedo ahimè poche sobbalzare come il sottoscritto al primo ascolto di Natural Selection, pietra miliare del nuovo concetto psicotropo (Def. che ha affinità con la mente) di musica a suo modo elettronica. Perché colpisce, il fatto di notare uno spesso come James Lavelle, che in carriera ha collaborato con Robert del Naja dei Massive Attack e Josh Homme dei Queens Of The Stone Age (giusto per citarne due) aver scelto per il lancio del suo sublime lavoro, proprio la band di Austin.
Fa altresì riflettere che in un momento dove ormai la tecnologia va ormai per la maggiore (basti pensare ai banner della Native Instruments ormai dappertutto in rete) siano chitarre scassate, amplificatori tirati completamente a fuoco e il suono profondo dei floor toms a invadere la scena musicale. Si perché se non l’aveste ancora capito, questo album si candida ad essere seriamente uno dei lavori dell’anno, e forse (ma si potrà dire solo con il senno di poi) uno dei più importanti di questa decade, sempre che i Black Angels non riescano in futuro a essere ancor più storti e devianti, ancor più apocalittici e sincopati, pur rimanendo allo stesso tempo ordinati e potenti, orgogliosi e taglienti.
Questo però concedetemelo non lo dico io. Per me parla il cambio di ritmo in “Bad Vibration”, la sabbia fine della spiaggia di “Haunting at 1300 McKinley” e il suo riff, così drasticamente distorto in maniera elegante: già alla quarta canzone si potrebbe togliere il vinile dal piatto per farlo ricominciare da capo.
Ma è riascoltando “River of blood” che trovo corretto lasciare il mio pensiero a metà, per non svelarvi la seconda parte del disco. Perché parlarne per un volta risulterebbe come svelarvi il finale di un film perfetto. Perfetto per la mancanza di improvvisi cambi di direzione, che lasciano spazio ancora a magnificenti paesaggi atti ad amplificare l’effetto della droga assunta, l’essenza, frivola ed euforica dei nostri pensieri più improvvisi; si insomma, di tutti i nostri sogni.
posted by Ivan Minuti
Highlights:
05 River of blood
08 True believers
The Black Angels - "Phosphene Dream"
Blue horizon ventures
Blue horizon ventures
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